Aveva acquistato quei quattro fatali metri di corda nella giornata di Lunedì, il negoziante non poteva sospettare quella fune poteva servire al padre che fa il pescatore o a lui che aveva lavorato nell'edilizia. Ore dopo verso le 23 ha lasciato la sua abitazione per l'ultima volta coi vestiti da ragazzo e la faccia da bambino. Lo ha ritrovato intorno alle 14 di mercoledì un volontario della Protezione Civile a quattro passi dal centro storico di Marina di Campo sul sentiero che porta a Galenzana tristemente appeso ad un albero. Così è terminata la vita di Giulio Cesar Mazzella, "campese" nato a Rio de Janeiro appena diciotto anni fa: una vita nella quale non andremo a frugare, non ha senso ora che non c'è più. Resta il racconto scarno di quelle ore vissute tra le ventitrè di Lunedì e le 14 di mercoledì da chi c'è ancora, in primo luogo la famiglia, a cui va il nostro affetto, ore di angoscia profonda e crescente, poi dai volontari che lo cercavano insieme ai Carabinieri, altri campesi più o meno ragazzi che hanno avuto quasi subito la percezione che quella scomparsa poteva preludere a qualcosa di molto grave. Resta soprattutto lo sconcerto per il fatto che quest'Isola è diventata una vera fabbrica di suicidi. Argomento scomodo che nessun maggiorente trova opportuno mettere in agenda, anche se le cifre, le freddissime cifre continuano a dirci che in quest'angolo di paradiso, in quest'isola caramellosa ci si toglie la vita uno spropositato numero di volte più che nel resto del territorio nazionale. E se questo parametro è un terribile indicatore sia della qualità della vita che della salute mentale è ora di sfatare molti ma molti luoghi comuni sull'Isola d'Elba. E' ora di iniziare a considerarla un'emergenza un problema tra i più gravi degli isolani, è ora di fare qualcosa di non chiedere più ai giornalisti di stendere un pietoso velo sui personali drammi. Il dramma interessa la collettività. La collettività deve almeno provare a dare qualche risposta.
galenzana salandri