Caro Sergio, vedo che la discussione sulla crisi del turismo si sta facendo appassionata, ti mando un contributo interessante che allarga molto la visuale e ci dice quanto siano ormai collegati, interdipendenti e globalizzati la nostra economia, il nostro lavoro e la nostra vita. Un articolo che dovrebbe far riflettere quelli che propongono ricette autarchiche (che non vuol dire affatto l’esaltazione delle nostre differenze e peculiarità, almeno quelle poche che ci sono rimaste) e che si voltano dall’altra parte quando in televisione appaiono le immagini della guerra in Iraq. L’articolo è apparso sul giornale spagnolo LA VANGUARDIA nel luglio scorso, ma provate a sostituire le parole Catalogna con Elba (o Toscana) e Italia con Spagna e vedrete che il risultato non cambia. Insomma la crisi possibile è del turismo della parte nord del bacino del Mediterraneo e la concorrenza- che diventerà sempre più forte - dei paesi arabi e africani non si contrasta certo con ricette provinciali ma diversificando e puntando sulla qualità e su quei settori dell’offerta turistica finora marginali e marginalizzati. Umberto Mazzantini La delocalizazione del turismo C’è chi annuncia la scomparsa dell’industria turistica spagnola. Ma è un’esagerazione. Finché dura il terrorismo, l’Europa mediterranea resta l’area più sicura MANUEL CASTELLS, LA VANGUARDIA, SPAGNA Con il sole dell’estate arriva la manna del turismo. È il settore più importante in termini di contributo al prodotto interno lordo, sia in Catalogna (10,1 per cento) sia in Spagna (12,1 per cento). Dà lavoro a 200mila persone in Catalogna e a un milione in tutto il paese. Per questo, vista la perdita di competitività di alcuni settori industriali, c’è chi dice che la nostra economia dovrebbe puntare sul turismo. Ma questa proposta ignora la dinamica dell’economia globale. Il fatto è che nessuna attività sfugge alla delocalizzazione. Mentre in Europa siamo preoccupati per lo spostamento delle fabbriche di auto verso altre latitudini, negli Stati Uniti lo sono per il trasferimento dell’industria del software in India e in Cina. In un’economia globalizzata è il rapporto tra produttività, qualità, tipo di prodotto e costi a determinare la competitività di un territorio, indipendentemente dal settore di attività. E per questo anche il turismo può cambiare, se i turisti e gli investimenti nelle infrastrutture si spostano verso altri paesi con offerte simili e prezzi più bassi. Secondo questo ragionamento, il turismo di massa a base di sole, spiaggia, bar e discoteche deve vedersela con la forte concorrenza dei paesi poveri — soprattutto nel bacino meridionale del Mediterraneo — che hanno prezzi molto più bassi e paesaggi altrettanto belli ma meno deteriorati di quelli della Spagna. È vero che la minaccia del terrorismo e i conflitti del mondo islamico limitano le attrattive di queste mete alternative. Ma in base a una previsione degna di Cassandra, non appena nel mondo si calmeranno le acque, il fascino del Medio Oriente e dell’Africa si farà sentire con tutta la sua forza competitiva. Analizziamo le tendenze attuali. Innanzitutto, se il pericolo è legato alla pacificazione geopolitica del mondo e in particolare del mondo islamico, purtroppo le cose andranno per le lunghe. E questo ci dà un buon margine di tempo per organizzare una riconversione preventiva. Ma è probabile che la concorrenza turistica sia già una realtà. Secondo l’Organizzazione mondiale del turismo, la regione in cui è aumentata di più la presenza del turismo internazionale tra il 2000 e il 2003 è proprio il Medio Oriente, con una crescita del 27 per cento (contro il 4,4 per cento dell’Europa meridionale), mentre la regione in cui il turismo è diminuito di più è il Nordamerica (-16,5 per cento). In altre parole, le persone hanno più paura di andare negli Stati Uniti che in Medio Oriente. La vera differenza In ogni caso, anche se il turismo nei paesi dell’est, in Medio Oriente, in Africa e in Asia sta crescendo più velocemente che in Europa e nel sud dell’Europa, il peso maggiore resta quello dei paesi europei e in particolare del Mediterraneo. Nel 2003 la quota dell’Europa sul mercato mondiale del turismo (per numero di turisti) era del 57,8 per cento, con un 21,2 per cento per l’Europa meridionale, in aumento rispetto al 1995. Invece la quota del Medio Oriente, pur essendo raddoppiata, è del 4,4 per cento, come l’Africa. L’America Latina è retrocessa al 2 per cento. E anche se la quota dell’Europa centrale e orientale è più alta (9,8 per cento), è comunque diminuita rispetto al 1995. Nel 2002 le entrate legate al turismo in Spagna erano di quasi 34 miliardi di dollari, al terzo posto dopo gli Stati Uniti e la Francia, con un volume d’affari dieci volte più alto dell’Egitto e dodici volte più alto del Marocco. Questo perché tra la potenzialità dei paesi emergenti e la realtà della Catalogna e della Spagna c’è ancora una differenza: la gigantesca industria alberghiera e di servizi costruita nel nostro paese nel corso di cinquant’anni, il sistema dei trasporti e la sensazione di sicurezza che offre un paese europeo occidentale. La notizia della morte del turismo spagnolo e catalano è un’esagerazione. Anche perché è già in corso il cambiamento verso un turismo diversificato e ad alto valore aggiunto, caratterizzato dalla scomparsa dell’intermediazione dei tour operator multinazionali grazie a internet, dai servizi di informazione locale e dalle linee aeree a basso costo. Senza contare che il turismo rurale, culturale, ambientale e individuale (soprattutto dei giovani) e l’offerta di alloggio nelle case private sono delle realtà che riguardano già centinaia di migliaia di persone.
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