Cronaca del naufragio della barca costiera “San Mamiliano” avvenuto il 16 novembre 1878 nelle acque antistanti l’Isola del Giglio. (seguito) “Uno dei naufraghi salvati è un gigliese che mancava da molti anni da casa sua, ed oggi vi tornava seco conducendo quel poco di peculio che con economia e sacrifizio si era risparmiato, per goderselo in pace con la propria famiglia, e riposarsi dopo tanti pericoli, dopo tante escursioni fatte in mari lontani sopra bastimenti di lunga corsa. Egli salvò la vita è vero, ma il fato volle che rientrasse nei patri lari povero come allorché partì da casa. Questo naufrago sbalzato dalla furia del vento nelle onde sconvolte, ebbe la prontezza ed il pensiero di togliersi di tasca il portamonete e porselo tra i denti e così tenere le carte valori fuori dall’acqua salata che le deturpa e le rende non spendibili; esso astretto a nuotare e per reggersi dovendo fare sforzi inauditi e continuarli, la sua respirazione si fece affannosa, non potendo adoperare per tale effetto che le sole narici. Fu ad un pelo di perdersi e perché ciò non succedesse dovè aprire la bocca al respiro e abbandonare il frutto di tanti suoi sudori e sacrifizi. Sappiamo che si sono incominciati li scandagli onde vedere se si può recuperare la barca corriera del Giglio. In quel punto che noi conosciamo benissimo per aver scandagliato quei fondali a scopo dei nostri studi idrografici della provincia, abbiamo a un di presso un settanta metri d’acqua e questa costituirà la massima difficoltà per il salvataggio del barco. Circa la qualità e la natura di quel fondo, si presta benissimo, poiché è un fondale arenoso e duro e costituito per la massima parte dalla rena e dallo sgretolamento delle rocce granitiche dell’Isola del Giglio, onde vi è tutta la probabilità che la Corriera appoggi solo nel fondo e non sia sotto i fanghi come purtroppo sarebbe accaduto se il naufragio fosse avvenuto a largo di Monte Argentario. Ulteriori e più recenti informazioni sul naufragio della barca corriera dell’Isola del Giglio, il S. Mamiliano, dal nome del Santo vescovo palermitano perseguitato dai Vandali e patrono dell’Isola gigliese, apprendiamo che il capitano Giuseppe Mai lasciò le acque del porto S. Stefano, solo la mattina per tempo del di 16, con leggero vento di levante e scirocco; che fra le ore 10 e le 11 di quella stessa mattina trovavasi già nelle acque dell’isola quando il vento volse al mezzodì e poi al libeccio molto fresco, che lo costrinse a prendere una bordata verso il lato ponente dell’isola per entrare in porto; che il vento libico si fece precipitosamente furioso accompagnato da raffiche tremende e da rovesci di pioggia. La Corriera allora tovavasi a tre chilometri circa dalla terra al disotto dell’elevato fanale delle Vaccarecce, all’infuori delle punte del Morto e del Fenaio, fra le due cale della Renella e della Campana dal lato Nord-Owest dell’isola. Fu una coda di vento che investì il S. Mamiliano come dicono quegl’isolani, cioè una tromba marina che sollevando a perpendicolo la vela di palloccone e la prua, immerse prima in mare la poppa calando di un subito a picco la barca nelle profondità dell’acqua. Ferraro Niccola con suo fratello, con Vincenzo Rum e due altri soprannominati Ciliberto l’uno Pettini l’altro, che pescavano allo sciabichello presso la Renella, lasciando gli attrezzi pescarecci e vogando a tutta forza poterono salvare i quattro naufraghi; essi non calcolarono i molti pericoli dai quali era circondato il loro Burchiello. Parimente Tito Cavero con altri pescatori che erano alla cala della Campana, frettolosi si mossero al soccorso, ma il mare impetuoso gl’impedì di giungere e doverono rifugiarsi dove erano partiti. Il S. Mamiliano era una paranzella forte, robusta e giovane, che contava pochi anni di navigazione ed era stata costruita a Limite lungo le sponde dell’Arno, da quei celebri costruttori, la cui fama e clientela è molto diffusa. L’albero di compresso, svelto dalla forza della coda di vento e galleggiante servì al salvataggio dei quattro, poiché li sostenne a galla dando tempo all’imbarcazione Ferrero di giungere. L’Agresti verificatore, lo scalpellino Ranieri e le due giovinette Arienti e Pini trovavasi da basso nel momento della sommersione, che fu così rapida che il capitano che stava al timone, ebbe appena il tempo di pronunziare gettatevi a mare, siamo perduti! e queste furon le sue ultime parole. Il luogo dove accadde il naufragio si scorgeva benissimo dal Castello dell’isola, non così dal Porto che lo riparavano le punte dette e più quella del Lazzeretto, infatti i portolani seppero dell’accaduto da alcuni castellani scesi in furia. Il barco era bene zavorrato, ma aveva un mite carico, due sacchi di castagne, due di farina di grano e le casse del reduce viaggiatore Ferraro che tornava in patria per prendere moglie”. (fine)
giglio cartina