“I flutti inghiottivano cadaveri e feriti; rivoli di sangue, simili a serpenti, macchiavano la schiuma bianca. Il fumo delle cannonate aleggiava sulle acque del Terek e in lontananza le cime innevate del Caucaso, avvolte dalla nebbia, assediavano minacciose il campo di battaglia…Con il pugnale stretto in pugno trafissero i propri cavalli, perché non finissero nelle mani del nemico, quindi ammassarono i corpi e si prepararono ad affrontare il piombo russo…Levarono le loro voci minacciose e malinconiche intonando il canto della morte.” Il fiume Terek, che scorre nelle pianure settentrionali dell’attuale Cecenia, ha sempre rappresentato, fin dal 1556 con i tentativi di Ivan il Terribile, un punto di arrivo per la penetrazione Russa nel Caucaso, e sulle sue rive, fra le valli che attraversa, sono ambientate le vicende narrate da Aleksandr Bestužev, conosciuto anche con lo pseudonimo di Marlinskij, nel suo romanzo: “Il giovane Bek. Una storia del Caucaso”. Personaggio tipico del panorama culturale ottocentesco, Bestužev è stato poeta, critico letterario, ufficiale dell’esercito dello Zar, ispiratore della fallita rivolta del Reggimento Mosca, galeotto. La sua adesione al romanticismo militante, origine di opere particolarmente attente agli aspetti storici ma sempre velate da una palpabile malinconia, e il conseguente fallimento del movimento decabrista nel 1825, ne fecero un esempio di perfetta simbiosi fra un autore e le sue opere, a sua volta degno di essere oggetto di narrazione. Morì, degradato a soldato semplice, durante una spedizione nel Caucaso. Ma il Causaso fu la fonte migliore della sua ispirazione letteraria. “Il giovane Bek” (capo, o principe) è un romanzo tipicamente romantico in cui si intrecciano amore, gloria, disonore, tradimento, espiazione, ma è soprattutto una storia di un mondo come ce lo siamo sempre immaginato. Valli e montagne e villaggi che fanno da sfondo a gesta eroiche di cavalieri fieri della consapevolezza di appartenere a un popolo straordinario e composito, etnie diverse, spesso in lotta fra di loro, ma accomunate dallo stesso orgoglio e dal medesimo desiderio assoluto di libertà. E’ un romanzo delle grandi passioni, senza mezze misure, in cui l’amore per la bellissima Seltaneta anima Ammalat quanto l’ardore e l’impeto in guerra, la dedizione per il suo fucile è la stessa di quella per ex nemico Verchovskij, così come, altrettanto devastanti saranno le conseguenze di tanta passione, sia nell’amore come nell’amicizia, che nella battaglia. Gli alberi e i compagni d’armi, le pianure e le tradizioni, l’integralismo religioso e la voglia e la necessità di andare oltre nella conoscenza, il senso di appartenenza e l’esigenza di libertà pervadono ogni gesto e ogni azione con grande intensità, come se a scrivere fosse non un Russo ma un Ceceno o un Daghestano o un Azero. Un esempio di grande immedesimazione in una realtà e in un contesto storico, politico, culturale e religioso che inconsapevolmente precorre i tempi di una disperata realtà, quella cecena, che ancora non ha trovato la sua soluzione, ma senza perdere di vista i presupposti culturali e storici di chi scrive, che alla fine è pur sempre un Russo infatuato di romantici sentimenti. E dolcissime sono le parole che il colonnello Verchovskij scrive alla futura sposa, e che, come un inciso ad ampio respiro, ci calano nel quotidiano della distanza , del distacco fra chi si ama, colmato con un lungo e delicato carteggio invece che dall’eco delle gesta eroiche di chi, al contrario, è quotidianamente chiamato a rivendicare il proprio ruolo sociale con il sangue versato del nemico, che poi non lo è più, ma lo sarà ancora; e non come invasore ma come ostacolo per un amore che forse non si deve realizzare perché, infine, indissolubilmente legato al destino di un popolo, di una terra, di una storia. Un romanzo, a detta dell’autore, costruito su fatti veri, nomi e vicende reali integrate dalla tradizione orale per raccontare l’inizio della fine di un’orgogliosa, ferrea appartenenza, fino ad una non si sa quanto inconsapevole trasfigurazione geografica di “essere a prescindere”, a prescindere dall’invasore, che poi è sempre lo stesso, nel nome delle armate zariste, nel nome delle integrazioni forzate bolsceviche, nel nome delle collettivizazioni staliniste. “O fratelli, recitate una preghiera / Con il pugnale precipitiamoci in battaglia / Spezziamolo contro il petto russo… / Il cammino dell’impavido è lastricato di cadaveri / A noi la gloria, morte al nemico / Alla-ha, hallo-ho. (dal Canto della morte dei guerrieri del Caucaso in battaglia). Ma Bestužev sa, uomo d’armi e di lettere, che la grandezza di un popolo può essere anche nel suo orgoglio e nel suo desiderio di sangue e di amore, che si annullano per rinascere come diritto e aspirazione alla libertà, contro secoli di soprusi e sopraffazioni, spesso a costo di estremi sacrifici, e il volto di Seltaneta fra le montagne diventa un unicum con le montagne stesse, e le scene di caccia e la perdizione dell’eroe, sconfitto dall’amore assoluto, che non rinuncia ad un ultimo, tragico gesto, inevitabile e magico epilogo di un’esistenza vissuta in nome dell’onore del singolo e del mondo che rappresenta. Il giovane Bek. Una storia del Caucaso Oggi il Caucaso è altro, oppure è il resto del mondo ad essere cambiato, forse, mentre su quei monti al confine fra due continenti si continua a rispondere alla violenza con altrettanta violenza, per imporre un dominio, per non esserne sopraffatti. Ieri erano i villaggi azeri e ceceni distrutti dai Russi, quelli cosacchi saccheggiati dai Tagiki o dai Daghestani, oggi sono le rovine di Grozny e di Beslan e, alla fine, ciò che resta è solo una tragedia collettiva, sofferenze e morti, da una parte e dall’altra, ma soprattutto nessuna più giusta dell’altra. La grandezza e l’orgoglio di Ammalat-Bek e delle popolazioni caucasiche come ce le ha raccontate Bestužev, i cavalli lanciati al galoppo contro i Cosacchi, i fucili armati non prima di essere a dieci passi dall’avversario, il rispetto del nemico, la ferma difesa delle rive del Terek dall’invasione degli eserciti della Grande Russia, l’onore e l’amore, rivivono nelle parole di un uomo del Caucaso, presidente del Parlamento della Repubblica dell’Ossezia del Nord. Rinunciando ai propri privilegi politici, Tejmuraz Mansurov fa appello alla forza e all’onore dei propri figli, alunni della scuola Numero Uno di Beslan, ostaggi di una banda di terroristi disperati, disperati a tal punto da violentare con il sangue la vita e l’innocenza di centinaia di bambini - non c’è giustificazione per gesti così tragicamente assurdi, ma sarebbe opportuno cercare un perché - e chiede loro, implicitamente, di essere degni della tradizione di Ammalat e Seltaneta: “Siete già un uomo e una donna, resistete. Fra tre giorni potrete mangiare e bere”. I due ragazzi, sia pure feriti si sono salvati, il Preside della stessa scuola si è sacrificato per non abbandonare loro e tutti gli altri. Beslan. Ossezia del Nord. Un’altra storia del Caucaso. Michele Castelvecchi Aleksandr Bestužev Il giovane Bek Una storia del Caucaso SANTI QUARANTA Collana Il Rosone Euro 10,33