A fine serata anzi a notte già fonda ci aggiramo alla ricerca di un appiglio sul quale agganciare un "A Sciambere" aggirandoci anche fisicamente per una casa troppo grande per contenere solo i due residuali umani più i due gatti che la abitano. Traccheggiandoci (stupendo verbo) nella ricerca si passa senza un reale stimolo dal bagno ("'na pisciatina .. 'na Sarvereggina" così abbiamo citato pure un maestro dei satirici come il Belli), andiamo poi a sincerarci delle condizioni di salute di Zippo ronfante sul divano, capitiamo in cucina per mordicchiare un biscotto non sollecitato da reale fame, accendiamo l'ennesima sigaretta come Yanez il tobagista portoghese (e così abbiamo sistemato pure Sàlgari o Salgàri archetipo di tutti i nostri dubbi di accentazione). Poi l'occhio ci si posa sullo schermo della TV che è una finestra aperta sulla immagine canuta di Giovanna Marini, una grande anzi una grandissima, ua musicista coltissima con una vita ponte tra l'accademia di Santa Cecilia e i cantori popolari di Lucania, di Orgosolo, che parla in maniera modesta ed affascinante di persone che anche noi abbiamo conosciuto ma pure dei "mostri" con cui a compiuto un pezzo di strada, Segovia, Calvino, Pasolini. Ci ricordiamo di aver cantato le sue canzoni nel '66, dimentichiamo l'A Sciambere e ci lasciamo mangiare dal racconto. Ci desta il cambio d'inquadratura, a far da contrappunto alla testa bianca femminea di Giovanna Marini c'è la capigliatura corvina di Gigi Marzullo, a contrastare l'originalità dei ricordi di quella stupenda signora, la banalità delle domande poste dal notturno torzolo. Due questioni ci poniamo mentre la sigla sfuma, la prima è: "Che c'incastra Marzullo con la Marini?" la seconda è "Possiamo metterci a ragionare delle imprese di qualche locale mezza pippa dopo essere stati presi dall'incantamento per una persona così?" No, sarebbe come intervallare l'Inno alla Gioia con Romagna mia, non è possibile.
De Gregori Marini