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Caccia: II° Rapporto sulla gestione della fauna in Italia

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : sabato, 18 settembre 2004

17/09/2004 12:24 - Presentato questa mattina a Roma da Legambiente e Arcicaccia: buone amministrazioni a Trento e Aosta, fanno scuola gli ATC toscani, l’Aspromonte guida le Aree protette. A rischio la gestione della fauna in Italia: se al Centro e al Nord la situazione è migliore, al Sud salvano la faccia solo poche e limitate realtà. È quanto emerge dal II° Rapporto sulla gestione della fauna in Italia realizzato da Legambiente ed Arcicaccia che hanno promosso l’Osservatorio Nazionale di gestione faunistica al quale aderiscono anche Federparchi, Anagritur, Urca, Club della Beccaccia, Arcipesca Fisa, Coordinamento Veneto e Beccacciai d’Italia. Legambiente e Arcicaccia tramite 74 Province, 81 Aree protette e 74 tra ATC, comprensori alpini e Riserve di Caccia hanno scattato una fotografia sullo stato di salute del patrimonio faunistico italiano e sullo stato delle specie cacciabili in Italia, considerando anche lo gestione della pesca nelle acque interne. La nascita di un Osservatorio Nazionale e la redazione del rapporto annuale che focalizzi lo stato di gestione della fauna e vizi e virtù dell’attività venatoria in Italia si è reso necessario proprio perché mentre nel Paese è in corso uno sforzo di tutela e di gestione, dal Parlamento arriva un’irresponsabile minaccia per la fauna. E’ in atto un pressing politico per scardinare ed annullare la legislazione di riferimento per la caccia (L. 157) e per le aree protette (L. 394). “Daremo voce - ha sostenuto Osvaldo Veneziano, Presidente dell’ARCICACCIA - alla parte maggioritaria del Paese che si oppone al tentativo destabilizzante e che in Parlamento attraverso l’audizione delle organizzazioni professionali agricole, delle associazioni ambientaliste e della parte responsabile del mondo venatorio ha già espresso motivate contrarietà alle proposte di modifica delle due leggi.” “Quella in atto è un assalto ai sistemi di tutela degli animali selvatici e delle aree protette, – ribadisce Francesco Ferrante, Direttore generale di LEGAMBIENTE - che se dovesse passare negherebbe la possibilità di un’attività venatoria compatibile. Una controriforma frutto di una politica che non si basa su dati scientifici a disposizione”. La palma della concreta attività amministrativa è incardinata nella Zona Alpi. Su tutti la Provincia di Trento, ben seguita dalla Valle d’Aosta sia per la caccia che per la pesca nelle acque interne. Ottimi risultati sul fronte venatorio anche per Rovigo, Siena e Belluno. Al contempo Vicenza, Modena e Parma attestano una complessiva buona amministrazione nel settore pesca. Di contro, è da assegnare un riconoscimento negativo a Roma, Sassari e Vibo Valentia per quanto riguarda la caccia e a Viterbo, Catania e Benevento per la pesca. Quadro più articolato per le aree protette e gli Ambiti Territoriali di Caccia. Con l’eccezione del Parco Nazionale dell’Aspromonte, sono i Parchi del Nord ad ottenere i migliori risultati: dal Parco di Portofino al Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, dal Parco Regionale delle Dolomiti d’Ampezzo al Parco Provinciale del Lago di Candia (TO). Sul piano venatorio gli ATC Toscani si confermano primi della classe. Al vertice, come sempre, Siena (ATC 19) ma ben spalleggiata da Grosseto (ATC 6 e 7). Fanno buona compagnia Parma (ATC 2) e Genova (ATC 2 Levante). Tutto da rifare per Benevento, Brindisi e Rieti. E’ il patrimonio faunistico il termometro delle politiche conservative messe in atto dai vari Enti. E sono le specie più vulnerabili a far scattare il campanello d’allarme, basti pensare all’Allodola, alla Beccaccia e alla Coturnice tra le più conosciute, le cui popolazioni sono a forte rischio di sopravvivenza e per le quali è fondamentale un’alleanza tra ATC, Aree Protette e Amministratori locali. Pur nella stabilità delle popolazioni, invece, specie considerate comuni come fagiano e lepre rimangono in bilico nei territori dove vengono fatte immissioni cosiddette prontacaccia anzichè favorirne l’insediamento con specifiche tecniche gestionali. In incremento infine Capriolo, Cervo, Camoscio delle Alpi ma anche alcuni anatidi come Germano Reale, Fischione, Alzavola. In questo quadro rappresenta una soglia di allarme il dato relativo agli indennizzi per i danni provocati dalla fauna. In Italia oltre 60 milioni di euro è la stima del danno economico provocato dalla cattiva gestione della fauna in molti territori del nostro Paese, con particolare riferimento a cinghiali e storni. Un corretto prelievo venatorio consentirebbe di garantire il giusto equilibrio tra le ragioni della conservazione della fauna e la tutela dei processi produttivi agricoli e forestali. Insomma, se approvate le modifiche proposte alle norme vigenti è facile immaginare una ricerca scientifica imbavagliata, la reintroduzione alle forme di uccellagione, la legittimazione al nomadismo venatorio incontrollato e distruttivo, l’annullamento della pianificazione faunistica favorendo la caccia consumistica, dilatando tempi e specie cacciabili in contrasto con le indicazioni dell’Europa e della scienza, prevedendo la caccia nei parchi e depenalizzando i reati venatori. “A questo provvedimento, che fa terra bruciata - concludono Veneziano e Ferrante – di ben dieci anni di ricerca e lavoro, ci opponiamo nella maniera più assoluta. È inaccettabile che il Parlamento avvii un dibattito su un argomento così delicato in antitesi alle conoscenze scientifiche”.