“Sono geloso degli hippies: gli hippies hanno avuto il meglio in fatto di musica, di droghe e di sesso, ma soprattutto hanno avuto il meglio in fatto di viaggi”. Si può riassumere in questa dichiarazione dell’autore la particolarità di questo racconto di viaggio molto piacevole, scritto da Peter Moore, giornalista australiano che un giorno decide di partire da Londra per tornare a casa, a Sydney, senza mai prendere l’aereo. Un modo di viaggiare che ha affascinato e segnato chiunque abbia avuto occasione di farlo, quando, con un budget limitato, le vere risorse a disposizione restano lo spirito di adattamento, la pazienza, la resistenza delle cuciture di uno zaino che per tutto il viaggio diventa il centro del mondo, e la disponibilità al silenzio o agli incontri occasionali. Attraverso l’Europa dell’est e quella balcanica, l’area mesopotamica e l’inizio della via della seta, si incontrano luoghi (il viaggio è del 1994) ora tristemente noti. Tirana, Skopje, Jalalabad, Peshawar. Altri, proseguendo verso l’Estremo Oriente, rimasti mitici. Lahore, Kathmandu, Lhasa, Vientiane, Jakarta. Un viaggio lungo otto mesi, fatto di tappe infinite anche su mezzi di fortuna, o di infinite attese per un visto o un permesso di attraversamento di zone a rischio, un viaggio in cui il tempo viene scandito da eventi che si susseguono senza un programma predefinito. Sono le conoscenze del momento, le situazioni contingenti, l’intuito e la curiosità a disegnare alla fine sulla mappa e nella mente il risultato di un’esperienza coinvolgente, assurda solo in partenza. Un passo dopo l’altro, un pensiero dopo l’altro, apparentemente senza ragione ma sempre disponibili al confronto con il mondo e con se stessi, una parte di mondo si apre di fronte al desiderio e all’istinto di un uomo in movimento attraverso i continenti. Una dimensione in cui il senso del viaggio non sta nella meta da raggiungere ma nell’arricchimento che si può avere dal percorso fatto, dalle esperienze collettive e personali vissute. “Se non fossi stato senza il becco di un quattrino, sono sicuro che mi sarei voltato, pronto a ripartire in quel preciso istante”. Una narrativa semplice ma intrigante, ricca di molti particolari mai superflui. C’è un luogo di partenza e c’è una meta da raggiungere e in mezzo ciò che dà il titolo al libro: La Strada Sbagliata. Fatta di sorrisi ora benevoli ora inquietanti; di frontiere che si aprono solo soldi alla mano o grazie all’onestà di funzionari doganali consapevoli della propria posizione di privilegio; di misere stanze che diventano tavole apparecchiate solo per avere accettato un invito; di letture in comune che diventano amicizie. Led Zeppelin e Nirvana, Morrissey e brani da film e telefilm, Ace of Base e Cold Chisel, Nick Cave, Beatles e musica etnica locale. L’emozione di ricordi legati ad una canzone, e di canzoni che saranno ricordi. Come in tutti i viaggi di questo tipo c’è anche una inevitabile ma non invadente colonna sonora, nata non da preordinate scelte ma da pezzi ascoltati per caso in qualche bar croato, su un taxi pakistano o in casa dell’ultimo conoscente australiano, o magari comprata in un bazar di una stazione d’autobus ungherese o nepalese. La musica, in certe parti del mondo, può riservare vere sorprese. Spesso a volumi assordanti. E’ soprattutto un sogno da realizzare grazie alla grande passione per i viaggi, un mito di cui, sia pure in parte, riappropriarsi partendo dalle esperienze di altri e facendole proprie nella loro essenza, così che una partenza possa diventare scoperta, in particolare la scoperta che il vecchio ideale hippy di pace, amore e comprensione sopravvive nella generosità di persone incontrate lungo La Strada Sbagliata. “Chiedete a qualsiasi hippy stagionato –sono quelli che esercitano un grande potere nelle grosse aziende e nelle banche- e vi diranno che il viaggio più bello fu quello via terra da Londra all’Oriente. Potevi prendere con te una ragazza e partire per una lunga, tranquilla odissea in India, Nepal e Thailandia e in altri posti che la gente aveva visto solo su National Geographic. Quasi trent’anni dopo volevo vedere se quel viaggio era ancora fattibile. La scelta di tornare a casa via terra era un modo per sballarmi e arricchire la mia vita. Voi riuscite a capirlo? Michele Castelvecchi Peter Moore LA STRADA SBAGLIATA Feltrinelli Traveller Euro 18,00
Copertina della strada sbagliata