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Chiusa la chiesa del carcere, i volontari si riuniscono alla presenza del Vescovo

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : venerdì, 30 luglio 2004

Carcere di Porto Azzurro, la direzione ha chiuso la chiesa seicentesca, adesso per pregare i detenuti si devono assiepare in una stanzetta adibita a teatrino, lunga e stretta, senz’aria. Soltanto un terzo dei detenuti che frequentava regolarmente la Santa Messa nella chiesa del Forte S. Giacomo riesce ora ad ascoltare le parole di Don Giovanni, cappellano del carcere da quasi una vita. L’episodio è l’ultimo di una lunghissima serie di “giri di chiave” all’esistenza sottovuoto dei reclusi nel carcere elbano. I volontari dell’associazione Dialogo della Caritas e della San Vincenzo de Paoli si sono battuti da sempre per l'attuazione dei processi rieducativi, spesso in silenzio per non interrompere i delicati rapporti tra la Direzione ed gli operatori esterni, ma adesso la preoccupazione è palpabile, e pare oltrepassata la linea oltre la quale insieme al silenzio ci sarebbe la complicità. Le associazioni di volontariato riferiscono di un’area educativa spaventosamente sotto organico (un solo educatore al posto dei 9 previsti), dove alcuni detenuti prima di poter ottenere un colloquio devono attendere addirittura 4 o 5 anni. Adesso con il nuovo direttore Rosario Tortorella si chiude anche la chiesa, adducendo come pretesto la presunta pericolosità delle grondaie per l’acqua piovana, che comunque, trovandosi all’esterno, non minaccerebbero la stabilità dell’edificio. L’inefficienza dell’area educativa si ripercuote disastrosamente sui detenuti, ai quali è negato il percorso di rieducazione previsto dalla Costituzione italiana. Spesso sono demotivati e si lasciano andare, rifugiandosi in cella davanti alla T.V. per decine di anni, inascoltati, sconosciuti alla equipe trattamentale (educatore più uno psicologo), difficilmente al termine della pena saranno “uomini nuovi”, in grado di inserirsi nella società. Negli ultimi tempi si sono infittiti i trasferimenti senza apparenti motivazioni, sono diverse decine soltanto negli ultimi mesi, l’ultimo caso quello di uno studente che al termine dei cinque anni di Liceo si apprestava a sostenere gli esami di maturità. Trasferito tre giorni prima. Stroncato nella maniera più netta un faticosissimo percorso di crescita culturale e umana. Soltanto grazie all’interessamento delle associazioni di volontariato il detenuto ha avuto il nulla osta per 10 giorni per poter sostenere la prova con la sua classe. Tra i suoi compagni anche un promosso con 100/100, Paolo Dierna, alla frugale cerimonia della consegna dei diplomi nessuno della amministrazione a stringergli la mano, a testimoniargli che aveva intrapreso la strada giusta. Non va meglio sul fronte sanitario, c’è chi ha rinunciato a farsi trasferire avvicinandosi alla famiglia per curarsi i denti, è ancora in lista di attesa, da mesi va avanti con antidolorifici. Con l’avvento della nuova direzione c’è anche l’obbligo dell’ispezione dei rifiuti che escono dal carcere, è un detenuto a frugare dentro i sacchi con le mani nude, alla ricerca di scarti sospetti, che possano svelare attività illecite all’interno del Forte. Il lavoro non c’è, tranne una ventina di occupati nella cooperativa S. Giacomo, e pochi altri nelle mansioni domestiche e di manutenzione della struttura retribuiti ancora con l’antica “mercede”, i detenuti sono disabituati alla disciplina di una occupazione produttiva, le lavorazioni languono. Le associazioni di volontariato riunitesi con il Vescovo Monsignor Giovanni Santucci nella mattina di giovedì hanno svolto una lucida analisi della precaria situazione del carcere di Porto Azzurro facendo affiorare i gravi problemi che lo attanagliano, rilanciando però la loro disponibilità ad un dialogo costruttivo con l’amministrazione, conservando la fiducia, accumulata in tutti questi anni di impegno serrato, di poter procurare ai detenuti, in sinergia con gli altri operatori carcerari, gli strumenti utili per il loro reinserimento nella società.


carcere porto azzurro

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