Seguiamo con interesse gli interventi di Lorenzo Marchetti sulla stampa in tema di elbanità e autonomia. Sono interessanti e forse coraggiosi perché, per la prima volta, un dirigente storico dei Ds assume i concetti di elbanità e autonomia come dei valori. E' una piccola rivoluzione, perché il movimento autonomista, nato dalla contestazione antiparco, era stato etichettato, proprio dai ds, come prodotto di una subcultura localista. In questa valutazione sfuggiva comunque un dato importante: gli elbani, per la prima volta nella storia, mettevano da parte il campanile e si trovavano tutti insieme a lottare contro chi, a loro avviso, voleva limitare i loro diritti sul territorio. Non lo facevano come riesi, portoferraiesi o capoliveresi, ma come elbani. Elba 2000 ha cercato di interpretare questo sentimento, che si esprimeva anche attraverso una ricerca di identità. Anche i tentativi di Marchetti possono avere la stessa lettura. Ma, detto questo, noi non abbiamo mai usato il termine “elbanità”, perché potrebbe essere frainteso. Anche Marchetti si affanna a definirlo. E' un termine ambiguo, che rimanda a un altro termine, come italianità, che ha le radici nel ventennio, con i suoi riferimenti alla stirpe e ai fasti dellaretorica dannunziana. Noi non siamo nemmeno certi che abbia un senso parlare di elbanità come termine che rimanda ad una etnia, ad una cultura e ad una identità. Certo, si può parlare di italianità: gli italiani si distinguano da tutti gli altri esseri della terra per delle caratteristiche negative o positive che vengono loro universalmente attribuite. Luoghi comuni compresi. Ma altrettanto si può dire degli elbani? Forse, si potrebbe dire dei sardi e dei siciliani o dei veneziani. L'Elba non ha mai prodotto una propria cultura, quindi gli elbani non avrebbero neanche una vera identità.: Portoferraio è la città più fiorentina dopo Firenze; Marina di Campo la più napoletana dopo Napoli; Porto Azzurro la più catalana dopo Barcellona. Per avere una identità più certa bisognerebbe ripopolare l'isola con riesi e capoliveresi; avremmo, forse, un'identità più definita, ma non sappiamo se sarebbe, dopotutto, un vantaggio. Se proprio vogliamo utilizzare il termine elbanità noi non lo collegheremmo, come fa invece Marchetti, alla “semplificazione istituzionale”, a “cabine di regia”, al “piano strutturale unico” o alla “classe politica coesa e motivata” o a “fare sistema”, che sono categorie politiche, ma, forse, solo al sentimento primordiale di appartenenza che sente chiunque per la terra dove è nato: la terra dei padri, si direbbe. Questo sentimento è importante per avvertire la sopraffazione e qualsiasi intrusione di un potere esterno. Si avverte, insomma, il diritto di gestire la propria esistenza nella terra dove si è nati come un diritto primario fondamentale ed inalienabile. Questo sentimento, o idea, che si ha di se stessi e della terra dove si è nati, se aiuta a percepire affronti, non dovrebbe mai essere esibito come “pitigri” dagli elbani di origine controllata nei confronti degli elbani di adozione. L’elbanità (come sentimento) non può essere una nozione politica. “Elbano” invece lo è, perché al pari di “fiorentino” o “livornese” individua con esattezza e precisa il rapporto tra il territorio e chi lo deve gestire. E' questo il termine, dunque, che dovremmo definire. Per noi, e lo sarà anche per Marchetti, “elbano” è chiunque viva e lavori in quest'isola. E questo indipendentemente dalle sue origini, convinzioni religiose, credo politico e colore della pelle. D'altra parte, se è vero che noi elbani, da generazioni, sospettiamo la vela all'orizzonte come pirata è anche vero che queste vele, a volte pirata e a volte no, spesso sono sbarcate e non sono più ripartite. Nel nostro sangue e nella nostra cultura (quella poca che abbiamo) ci sono tracce turche, spagnole, francesi, tedesche, inglesi e arabe. Sono nella lingua che parliamo, nel colore della pelle e nei volti di molti di noi. Detto questo, è auspicabile che nasca tra i nuovi abitanti di quest'isola, che sono arrivati da ogni parte del mondo, un sentimento di appartenenza, che Marchetti ama definire elbanità, e che aiuti ad essere più uniti e quindi più forti. Non per combattere piombinesi, fiorentini e livornesi, contro i quali non bisogna fare guerre, ma per opporsi alle segreterie politiche e ai poteri forti che a Piombino, Livorno e Firenze hanno le loro sedi e che intendono limitare il nostri diritto di gestione del territorio, offendendo così la nostra dignità e la nostra elbanità, come direbbe Marchetti. E questo anche se, nel merito, avessero ragione. In questo caso, infatti, l'arretratezza culturale, qualora ci fosse, dovrebbe essere un problema da risolvere e non un alibi politico per fare prepotenze. Si tratterebbe di attendere e far crescere le popolazioni. Non si vedono urgenze che lo impedirebbero. Dopo tutto l'Elba si è mantenuta quella che è, in 2mila anni di storia, facendo a meno di Mazzantini, Mussi, Martini e Conti.
rio marina dall'alto panorama