Torna indietro

Gli elbani e la punizione divina

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 12 maggio 2004

Il nubifragio del 2002, arrivato a settembre come tutte le disgrazie in quest'isola, era un segno del signore. Era, come dissero alcuni ambientalisti, una punizione divina contro gli elbani che avevano offeso l'ambiente e quindi il suo creatore: il dio dei cieli. Ed è da lì che è arrivato il diluvio purificatore che, nonostante il fango, avrebbe dovuto mondarci dai peccati. Secondo loro, il dio cristiano, che non vede il dolore e la disperazione nel mondo, si preoccuperebbe di come si costruisce al Viticcio. In ogni modo, giustizia era fatta. Lo scrissero giornali nazionali e locali e ne parlò lo stesso ministro dell'ambiente che, già nel mese di agosto dello stesso anno, aveva rilasciato un’intervista al Corriere della Sera in cui accusava gli elbani di essere un popolo di cementificatori. Da qual giorno, il tempo non ha avuto pietà di noi: bufere si sono abbattute su quest'isola investendo le facciate dei palazzi, sfondando le porte e le finestre, penetrando negli alberghi, nelle prefetture e negli uffici delle forze di sicurezza e in quelli tecnici comunali, ululando nei corridoi e risucchiando in vortici pratiche e impiegati, e portandoli lontano. L'isola è rimasta ferita nella sua immagine e viene guardata con sospetto, gli amici si allontanano e rischia di essere sempre più sola e più povera. Quest'isola, plasmata con il lavoro di molti da terra di emigrazione in uno dei siti turistici più prestigiosi del mediteranno, è stata poi trasformata, dallo stato, in un luogo sacro di protezione ambientale. Luogo delle ricchezze paesaggistiche e del meraviglioso vietato, luogo simbolico di frutti irraggiungibili, di pomi lucenti e avvelenati, luogo infestato da serpenti tentatori, da affaristi e malfattori e dunque controllato da guardie armate. Se la semplice infrazione di una regola, nel resto del territorio nazionale, è un peccato veniale, qui rischia di divenire cedimento alla tentazione e quindi peccato di empietà e macchia indelebile che porta alla perdizione. Così come una leggerezza, un errore, magari per la realizzazione di un diritto, rischia di diventare un reato che ti porta inesorabilmente in galera. E noi, poveri indigeni, ci muoviamo, incerti e spaventati, come anime perse fra alberi del bene e del male, tra gigli rossi delle sabbie e papaveri gialli delle dune, tra castagni centenari e gabbiani corsi veloci e alteri, avanzando guardinghi tra rospi smeraldini e cinghiali, cercando di schivare la nepitella nera di Grassera e il timo pallido di San Giovanni. E ci sentiamo sfiorati da finanzieri e carabinieri affannati in cerca di ladri e da prefetti vanitosi e avidi; da guardie verdi a cavallo e da quelle provinciali armate come marines e giustiziatici di cinghiali inermi; da politici delatori pentiti rovinati dall'ambizione e dall'invidia e dalla cattiveria, che si muovono a testa bassa per non farsi riconoscere. E incrociamo i giovani scoglionati senza casa e in cerca di un futuro e gli extracomunitari tristi in cerca d'affetto; e siamo tutti sotto tiro in quest'isola alla deriva e abbiamo gli occhi spaventati dei naufraghi. Tutti siamo bersagli di cecchini invisibili. Tutti, insieme agli architetti, ai geometri, ai tecnici e funzionari comunali onesti e preoccupati, ai sindaci, agli assessori, ai loro figli e nipoti; tutti spaventati, a passare notti insonni ad asciugare le lacrime delle mogli e delle ganze, in attesa dell'alba quando il campanello annuncerà l'arrivo dei carabinieri che ci porteranno alle Sughere. Ammanettati, come assassini. E noi, onesti e ingenui o corrotti fino alle ossa, siamo nelle mani dei “visi pallidi” che arrivano da Firenze o da Livorno. Noi, nella terra dei padri, li aspettiamo con tutti i tempi e ci sentiamo braccati e odiati come cinghiali e ci aggiriamo ormai senza speranza, dissetandoci con acqua avvelenata, e rimaniamo morenti sulla banchina, in attesa che dal cielo arrivi la salvezza (ma quando?). Tutto questo sembra non turbare molti di coloro che si accingono a diventare i futuri amministratori. Da quello che si vede, per loro non esistono problemi da risolvere ma poltrone da conquistare e personaggi da collocare. Speriamo di sbagliarci, altrimenti saranno tempi duri per tutti.


ageno fuochi

ageno fuochi