Al Teatro Garibaldi di Rio Elba, in occasione della serata di venerdì 30 e del mattino successivo, abbiamo avuto la fortuna di rivivere la forza e la bellezza del pensiero di un uomo che ha incarnato l’ideale della lotta contro l’ingiustizia. Il ritrovamento di un frammento della lapide dedicata a Pietro Gori, che era stata smurata dalla piazza del paese e distrutta alla fine della seconda guerra mondiale, ha offerto l’occasione per una emozionante rievocazione dell’avventura anarchica attraverso la magia delle ballate del gruppo musicale Altro Canto. Un’immersione nella dimensione ideale, dolorosa e sincera, dei canti popolari degli ultimi due secoli. Canti di lotta e di lavoro, di struggente malinconia, ma anche di speranza in un mondo migliore, dove poter vivere in pace e senza sopraffazione, dove si parla di uomini che hanno voluto donare quello che si considera il bene più prezioso, la vita, ad un ideale di fratellanza e solidarietà; gente comune, di ogni estrazione, unita nella consapevolezza della necessità assoluta dell’impegno per la causa della libertà. Canti che, attraverso la purezza dell’utopia, ci hanno fatto sentire in modo ancor più netto l’esigenza di contrapporsi ad una filosofia del potere a tutti i costi che si fa ogni giorno sempre più volgare, diffusa e prepotente, figlia del gelido vuoto della mente e del cuore e madre di ogni ingiustizia. Guardiamoci intorno: se parliamo di resistenza, rischiamo la schedatura per eversione; la lotta partigiana viene avvicinata sempre più al terrorismo; ci viene detto che la difesa della libertà consiste nel portare la guerra a casa di chi pensa o prega in modo diverso dal nostro. Chi, come me, ha la fortuna di non aver vissuto direttamente la tragedia delle dittature del secolo scorso, dovrebbe prender lezione dalla memoria storica di coloro che hanno subito la violenza del fascismo. Allora sarebbe molto più chiaro come, attraverso il continuo paventare la perdita dei privilegi acquisiti, il controllo e la manipolazione dell’informazione, l’individuazione di più o meno potenti e mortali pericoli, si possano gettare nelle coscienze i semi della paura, dell’odio, dell’intolleranza. Semi che daranno, come unici frutti, guerre sante, razzismo, persecuzioni ed in definitiva, l’accettazione della rinuncia alla libertà, nostra ed altrui, in nome di un rassicurante, onnipresente ed onnipotente “potere forte” che si chiama dittatura. Una serata di canzoni serve a far volare il cuore e la coscienza, poi ricomincia, più potente e motivato, l’impegno quotidiano. Buon lavoro.
Pietro Gori quadro