Dalla storia riese della lapide goriana che pareva irrimediabilmente persa ma che è come rinata da un suo frammento, la storia di un'altra lapide monumentale dedicata all'anarchico, quella di Portoferraio destinata anch'essa a finire in pezzi nel 1944, ma che fu nonostante il suo enorme peso "rubata" nottetempo dopo la sua rimozione dalla facciata di un palazzo di via Cavour dov'era affissa. Un incredibile furto che salvò la lapide, per dirla con la retorica patriottarda del tempo, sottratta "all'iconoclasta mazzuolo fascista", e che con la custodia del marmo fino a che, con i tempi migliori, tornasse la libertà a Portoferraio testimonia un sentimento di devozione, dai tratti quasi religiosi, di tutto un popolo della sinistra portoferraiese che, anche laddove non si professava anarchico si diceva "goriano" confondendo le idee di chi (magari sbarcato dal continente) cercava di applicare le "categorie del pensiero" in maniera rigorosa da questa parte del canale. La realtà è che Gori è sempre stato per gli elbani progressisti una sorta di icona del libero pensiero ancor prima che dell'anarchia. Per questo da sempre ad ogni primo maggio c'è chi si preoccupa di far apparire sotto la sua lapide portoferraiese che domina ora la piazzetta su cui si affaccia il palazzo comunale della Biscotteria un mazzo di fiori rossi, come se non fosse trascorso quasi interamente un secolo dalla scomparsa di Gori e tutti avessero diretto ricordo dell'anarchico mite.
Pietro Gori fiori 2004