Il primo maggio mai è stato celebrato con tanta intensa partecipazione come nell’occasione del recupero di un frammento della lapide marmorea in onore di Pietro Gori, posta sulla piazza del paese nel 1920 e distrutta dagli ultimi sussulti fascisti alla fine della seconda guerra mondiale. La cittadinanza riese e di altri paesi dell’area occidentale dell’isola ha partecipato curiosa e commossa alla cerimonia intima e solenne della inaugurazione dello spazio dedicato alla memoria nell’atrio del Teatro Garibaldi e ha ascoltato la storia di un piccolo pezzo di marmo, rimasto mescolato a pietre e detriti finché qualcuno non lo ha raccolto e consegnato al sindaco Catalina Schezzini. Da questo elemento nasce un evento culturale e di recupero storico, una di quelle piccole tessere che entrano a costruire il mosaico della vita sociale di una comunità, destinate a essere stimolo di conoscenza per il presente e per il futuro. Un giorno importante, questo primo maggio 2004, sottolinea il sindaco, per la caduta dei confini con l’entrata di dieci paesi dell’Est nell’Unione Europea. Giorno nel quale cade il muro che divideva Gorizia e che fa intravede una svolta storica destinata a un futuro di pace. La celebrazione, iniziata con un concerto offerto nello stesso Teatro ieri sera dal Coro Altrocanto di Firenze, diretto dal Maestro Stefano Corsi, e accompagnato da valenti musicisti, ha messo al centro la figura umana di Pietro Gori cantando le canzoni da lui scritte, inneggianti alla libertà e alla giustizia, e quei canti popolari legati alla sofferenza della guerra, della partenza degli esuli e degli emigranti fino alla struggente forza di O bella ciao. I presenti, alla fine, non hanno resistito all’emozione suscitata da canti che fanno ormai parte della vita e della storia di ognuno, unendosi alla voce del coro. Lo stesso è accaduto questa mattina quando gli artisti sono scesi per strada dinanzi al Teatro e insieme hanno intonato Addio Lugano bella, canzone dell’esilio fra le più famose di cui è autore proprio Pietro Gori, seguita da O profughi d’Italia. Un personaggio, questo del poeta anarchico, l’avvocato dei poveri e degli oppressi, amatissimo all’Isola d’Elba, di cui la sua famiglia era originaria, per la sua presenza nel periodo del confino, la sua vicinanza alle sofferenze dei lavoratori, e infine per esservi morto in Portoferraio l’8 gennaio 1911. Era talmente conosciuto che, portato con un barcone a Piombino, fu accompagnato da una presenza ininterrotta lungo la strada di persone che volevano dargli l’ultimo saluto, fino alla sua città, Rosignano, e di lì portato a spalla per sette chilometri fino al cimitero. Figura di eroe tanto popolare da travalicare i confini dell’Italia con la sua presenza nell’Europa continentale fino all’America Settentrionale e Meridionale per incoraggiare le folle di emigranti diseredate e sfruttate nel campo del lavoro. Qui all’Elba molti conoscono e amano questo personaggio, un vero oggetto di culto per molti che hanno cercato di dare la loro testimonianza anche attraverso i suoi scritti e le sue immagini. Ilio Barontini di Capoliveri ha portato un suo bellissimo ritratto e alcune pubblicazioni rare da condividere con i presenti. Renzo Paoli, oltre che donare il frammento da lui salvato, ha fornito le belle immagini della posa della lapide del 1920 con la folla dei paesani sulla piazza, organizzate ed esposte dalla giovane Margherita Mellini accanto alla riproduzione del testo commemorativo originale, scritto da Mario Foresi e recuperato grazie alla collaborazione del nipote Leonida. Alcuni hanno ricordato di aver assistito alla rimozione della lapide, come Maria Teresa Damiani, che allora era una bambina, ma ha ancora davanti agli occhi la gente raccolta sulla piazza a osservare in silenzio gli uomini che con le funi staccavano dal muro la grande lastra marmorea in un momento in cui la guerra sembrava aver cancellato ogni speranza e desiderio di memoria.
Pietro Gori seduto piccola