Un tratto degli anziani spesso stigmatizzato è quello di risultare ripetitivi, e forse è per la nostra non più verdissima età, che tendiamo ad affezionarci a qualche ragionamento. Uno di questi è la vivace contestazione del luogo comune secondo il quale le giovani generazioni sarebbero progressivamente peggiori di quelle che le hanno precedute. Ciò non può, a stretto rigore di logica, essere vero, e per affermarlo non solo occorre essere privi di un qualsiasi senso della storia, ma pure di essere di memoria molto corta. Era certo amnetico un nostro coetaneo che abbiamo colto, qualche sera fa, guardare con molto disappunto una comitiva d’adolescenti sciamante dal Castagnacciaio dove di sicuro i ragazzi avevano mangiato pizza e/o torta di ceci, che con altrettanta matematica sicurezza non avevano innaffiato con bevande analcoliche. L’allegria etilica del branco era palpabile e pure annusabile per l’angustia del passaggio in cui eravamo costretti tanto noi, quanto il gruppo dei lupacchiotti, quanto infine il nostro moralista, il quale non ha mancato ovviamente di scuotere la testa dicendo: “Bel mi’ mondo!” Se non avessimo ritenuto più urgente conquistare anche noi un tavolo del Castagnaccio (la concorrenza era agguerrita, per farlo c’è toccato dare una calcagnata ad un fiorentino che intendeva piparci, benchè giunto dopo di noi, l’ultimo spazio disponibile) ci saremmo fermati volentieri a ragionare sul su’ mondo (che poi era anche il nostro da giovani) Gli avremmo ricordato che una sera, tirando a far tardi fuori del bar Roma dopo aver acciaccato la “piattola” (aragostella nana o scarafaggio) di rito, con altri amici ci mettemmo a contare le bettole (non i bar dove pure si beveva mica poco) ma le semplici mescite di vino che insistevano sul territorio comunale di Portoferraio giungendo a computarne lo spaventoso numero di 26 (una ogni 400 abitanti suore e lattanti compresi), bettole peraltro individuabilissime specie la sera e nei giorni festivi, vuoi per i canti che spesso fuoriuscivano da quei locali (una la chiamavano “il Conservatorio”, in virtù delle liriche virtù dei suoi avventori), ma anche e soprattutto perché erano raggiungibili risalendo la corrente dei “briachi” che ne uscivano. E poi andando sul personale gli avremmo ricordato che anche lui, se la memoria non ci faceva fallo (assessore non ha capito, la memoria caso mai induce in errore, ma non fa mai uccelli), ce lo ricordavamo come elemento molto più incline alla “passatella” che agli esercizi spirituali. E continuavamo a ragionare su ciò quando, in quel folle turn-over del Castagnaccio, si liberava un altro tavolo appresso al nostro, ed immediatamente dopo che dalla sedia si era alzato l’enorme culo di una tedesca col capello stopposo, si posava sulla medesima proprio il posteriore del fustigatore. Un minuto ancora e lo abbiamo sentito rispondere al cameriere: “E da bere cosa?” “Acqua – ha detto il nostro con voce piagnucolosa - col fegato che mi ritrovo cosa vuoi che beva!”. Ci siamo messi a canticchiare mentalmente Boccadirosa di Fabrizio De Andrè: “Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio Si sa che la gente dà buoni consigli Se non può più dare cattivo esempio” E con una punta di cattiveria lo abbiamo salutato alzando il nostro bicchiere di vino rosso, anzi “nero” come si chiamava qui in vino diverso da quello bianco.