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Controcopertina - 47 giorni e 47 notti a Bagdad

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : mercoledì, 25 febbraio 2004

Un mese e mezzo a Bagdad come inviato della Croce Rossa Italiana nell’ospedale dove si curano i grandi ustionati. E’ tornato lo chef Alvaro Claudi dalla sua importante missione in Iraq, nella quale ha avuto il compito di sovrintendere al vettovagliamento del personale medico italiano operante nell’ospedale. Ha uno sguardo fermo, più nitido di quando è partito, il 27 dicembre scorso, come se questo periodo nella città del caos e delle polvere gli avesse scolpito delle certezze prima impensabili. Ci ha raccontato che Bagdad è una città bellissima, sporca e nobile, che nasconde le ferite dei bombardamenti come un sorriso imperfetto, coperto dal brulicare di tante vite scoperchiate dalla fine del regime di Saddam, che s’inventano l’esistenza giorno per giorno “Il “nostro” ospedale – racconta Claudi – è una struttura del regime costruita dai coreani, abbandonata da una decina d’anni e recuperata dalla Croce Rossa che ne ha fatto, insieme al personale medico iracheno, un centro specializzato per le grandi ustioni. Arrivano di continuo feriti, anche molto gravi, ma sono vittime indirette della guerra.” Si tratta soprattutto di donne e bambini ustionati dallo scoppio di miscele improvvisate di carburante, utilizzato, senza nessuna precauzione, per scopi domestici. Sono gli stessi ragazzini che vendono la benzina per strada dentro taniche riciclate, le donne l’acquistano per cucinare e riscaldarsi, se la fanno versare dentro le pentole da cucina e la trasportano sopra il capo, come fosse acqua. Spesso succede che scoppia tutto, perché nel paese del petrolio gli abitanti non hanno familiarità con la benzina. Dal racconto di Claudi, che apprendeva le notizie dell’Iraq dalla televisione italiana, Bagdad non sembra una città in guerra, ma appare come una città senza regole. La circolazione stradale è un caos, si viaggia in auto con le targhe in tasca, per non farsele rubare. Se si crea un ingorgo peggiore del solito la polizia interviene sparando colpi di mitra in aria, poi se ne va. Più che i danni delle bombe, sono i mezzi cingolati americani che hanno dissestato le strade e le fognature, che hanno trinciato i fili dell’elettricità. Tutte le auto hanno il parabrezza schiantato, non hanno tergicristalli, qualcuna ha fori di proiettile. Il grande ospedale della Croce Rossa ha una potente cintura di protezione, personale efficiente, ma strumentazione scarsa o obsoleta. Alvaro Claudi, dipendente della Provincia di Livorno e chef rinomato, nei panni di volontario della C.R.I. si è occupato del vettovagliamento degli italiani, utilizzando sia le derrate alimentari portate dal nostro paese sia i prodotti locali. “Per fare la spesa si usciva scortati da personale reclutato dagli americani negli ambienti anti-Saddam, e si avvertiva che intorno a noi si creava una cellula di sicurezza. Il mercato è ovunque, le bancarelle nascono ad ogni lato di strada, qualsiasi cosa è oggetto di scambio o di compravendita, non si butta via nulla, tutto viene riciclato. In mezzo a condizioni igieniche impensabili per un occidentale, si trova anche carne freschissima, capre macellate davanti agli occhi, verdure appena colte dall’orto. Per tritare la carne vengono usati macinini con motori di lavatrici o con pedali di macchine da cucire. In questo mercato senza regole, riuscivamo però a farci rilasciare anche qualcosa che somigliasse ad una fattura fiscale”. Nell’Ospedale moltissime sono le persone salvate da infezioni sicure, il pericolo maggiore al quale vanno incontro gli ustionati e coloro che non hanno la minima cognizione di cosa significhi disinfettare una ferita. “In mezzo a tante sofferenze, abbiamo avuto anche momenti di festa come il fidanzamento ufficiale celebrato all’interno dell’ospedale tra una paziente ed un giovane iracheno, con tanto di solenne promessa di matrimonio, scambi di gioielli e taglio di torta. La ragazza pensava che a causa dell’ustione il fidanzato si defilasse, ma non è stato così.” “Un altro momento particolarmente atteso era la distribuzione del gelato ai piccoli pazienti, ma non si potevano ignorare anche gli sguardi golosi delle nonne che vegliavano giorno e notte sui nipoti.” Lo chef italiano è ritornato a casa a bordo di un agonizzante aereo, lo stesso veterano dell’area con il quale era arrivato avventurosamente 47 giorni prima, appartenente ad una compagnia ucraina, l’unica che sfida il cielo di Bagdad,. La certezza che gli ripulisce lo sguardo così limpido è una soddisfazione solida di aver fatto bene il proprio dovere, la traccia più profonda che ha dentro è la consapevolezza di un antico popolo di mercanti con la contrattazione nel sangue che dovrà pagare carissima, senza nessuno sconto, la via della normalità.


Alvaro Claudi Bagdad bambino

Alvaro Claudi Bagdad bambino

Alvaro Claudi Bagdad soldati USA

Alvaro Claudi Bagdad soldati USA