Enrico Calamai FAREMO L’AMERICA L’impossibile normalità di un console italiano in Argentina negli anni della dittatura Edizioni Angolo Manzoni Un fascicolo di documenti, una penna da rigirare fra le dita ascoltando mille racconti diversi nella loro inevitabile somiglianza, una scrivania che spesso diventa appiglio e rifugio per richieste impossibili da soddisfare. La tranquilla normale routine di un uomo al cospetto della storia del suo Paese. Volti di giovani e anziani, donne e uomini, generazioni diverse ma tutte indissolubilmente legate dallo stesso inevitabile vincolo, fatto di spazio e tempo, in cui la distanza diventa tempo trascorso e il tempo allontanamento e distacco. Speranze deluse, sogni realizzati, amori tragici o infiniti, la sofferenza di un quotidiano subito come risultato di una partenza, ultima risorsa per mantenere la dignità di persona. E tutto un mondo, un’epoca ruotano fra le pareti di un ufficio che diventa astrazione e prescinde, ma solo in apparenza, dal luogo geografico. E’ Argentina ma potrebbe essere Australia, Stati Uniti o qualsiasi altra destinazione raggiunta da cittadini italiani che abbandonavano, molti per sempre, il loro vero quotidiano. La piazza del paese, i luoghi d’infanzia, per quanto, spesso violentati da una guerra appena finita, diventano ricordo e i volti di amici sono ora volti di fantasmi in cui spaventa rispecchiarsi e avere la certezza del tempo trascorso e della troppa distanza. Ma lì sono le origini. Il comune vincolo di appartenenza è la traccia principale di ogni racconto, in cui l’autore riesce a cogliere e riproporre con linguaggio essenziale, diretto, la poesia anche da gesti, richieste di aiuto e storie personali, che assumono così valore assoluto. Testimonianze di un certo modo di essere persone che ci è appartenuto come paese da cui distaccarsi e oggi si ripropone come punto di arrivo di altrettanti dolorosi distacchi. Non dovrà essere disperazione nata dalla speranza. E’ Argentina e potrebbe essere Australia o altro. Ma non lo è. Anzi, ancora più difficile si scopre il ruolo e la funzione di chi raccoglie cronache di antichi addii, solleciti per una pensione mai arrivata o per ricongiungimenti troppo tempo attesi, mentre fuori si compie la tragedia di un popolo che subirà l’annientamento di un’intera generazione, attuato con il metodo più devastante: negando ai genitori anche una fossa comune su cui piangere, e regalando i figli alle famiglie dei carnefici. Una tragedia che continua a segnare una nazione, da cui però scaturì uno dei massimi esempi del nostro tempo di lotta non violenta, messo in atto da donne, madri ormai nonne ma mai stanche, che ogni giovedì a Plaza de Mayo rivendicano il diritto alla verità e alla giustizia. Una foto fra le mani, un fazzoletto bianco sul capo, sagome bianche disegnate sul selciato, i passanti che si uniscono al silenzioso girotondo perché non sia oblio. A loro, purtroppo, devo il Natale più bello della mia vita. Era un giovedì.