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Da Bolivio a Tremonti passando per Gin Racheli

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : lunedì, 09 febbraio 2004

"Se al contrario il Parco Mineralogico non dovesse attuarsi, prima o poi la speculazione si avventerebbe contro le splendide solitudini di quei monti di ferro e l'isola scadrebbe nella dimensione stretta e soffocante del turismo di massa che ha cercato di evitare in questi trent'anni. E soprattutto scomparirebbero nel chiasso estivo le tradizioni sofferte, la storia, gli antichi eroismi, il profumo di una fiera povertà che oggi ci capita di ricordare con nostalgia." Con queste parole (scritte nel "lontano" 1987) Gin Racheli concludeva il capitolo dedicato al futuro delle miniere elbane, nel suo "Le isole del ferro". Parole di buon senso, una cosa che non sarà mai cartolarizzata. E purtroppo, secondo la teoria del signor B., le cose che non si possono vendere non servono a niente: Manzoni sarà stato anche un buon autore ma non incide certo sull'export italiano. Ti ritrovi così, da un anno all'altro, a vedere quelli che cosideravi luoghi di cultura ridotti a strutture da mercato immobiliare, grazie all'operazione "Finanza creativa" del più grande esperto di marketing del nostro paese, Giulio Tremonti, in nome e per conto del Supermercato delle libertà. Ma il ministro dell'economia (perchè pare che il suddetto Tremonti svolga anche questo incarico a tempo perso) non lo fa per futili motivi. Anzi. Lui ti vende Pianosa? Ma è per finanziare il ponte sullo stretto (no, dico, l'opera umana più importante dopo lo sbarco sulla Luna). Ti appioppa il forte di Longone? Ma lo fa per costruire il passante di Mestre (e se c'avanza qualcosa pure per la variante di valico). Ti svende le miniere elbane? Ma lo fa per risanare il Coni (chissà come saranno contenti i giocatori di pelota e i lottatori di sumo italiani). Chissà magari potremo andare tutti a qualche bancone apposito con la lista della spesa. "Mi darebbe il bastione della Carciofaia, il forte di Marciana e quattro vani della villa dei Mulini? Me li scelga bene però: i due piani della torre della Linguella che mi ha dato ieri erano andati a male. A proposito, quando le vendete le Grotte: sa, le vorrei comprare per spianare tutti quei ruderi e farci un bel maxivillaggio turistico. E i saldi di Capraia quando iniziano? Magari me ne compro un pezzo, vedi mai ci scappi una bella speculazione. Quant'è? 16500 euro? E poi parlano di rincari!" Magari sono già pronti anche gli spot pubblicitari. "I sogni di Vittorio. A 20 anni comprare la villa dei Domizi Enobarbi. A 40 comprare l'intera Giannutri. A 60 radere al suolo tutto per costruirvi un maxihotel con quindici piscine e otto campi da tennis". O ancora: " Forte Focardo: 5000 euro. Castello del Volterraio: 8000 euro. Far schiattare d'invidia gli amici stranieri che non hanno uno come Tremonti al governo: non ha prezzo". Ma torniamo seri un momento. Probabilmente noi elbani le miniere non le abbiamo mai amate. E' vero che la nostra storia ha avuto esse come perno, ma quanti drammi racchiudono. Una volta un vecchio capoliverese mi disse: "Se avessero portato un carcerato di Longone a fare il nostro lavoro, lui avrebbe preferito ritornarsene in cella". Tutti i vecchi minatori che ho conosciuto hanno pagato il loro tributo di sangue a quelle cave: chi ci lasciò la vita e chi "solo" un paio di dita, chi ci contrasse la silicosi e chi ci rimase sciancato. Chissà quanti turisti che rimangono affascinati dai colori delle terre ferrose sanno che quelle ferite a cielo aperto hanno prima inghiottito, poi masticato, e infine sputato fuori uomini precocemente invecchiati. Chissà quanti si ricordano gli scioperi dei cavatori per migliorare le condizioni di lavoro e di salario (e quello del 1911 entrerà addirittura nella storia del movimento operaio italiano). Forse è proprio per questo che, oltre a essere un danno per l'ambiente, rischia di diventare una beffa per la memoria storica: sarebbe come costruire bar e piscina in un cimitero di guerra. Di tutti gli "omini de la vena" (e molti sono passati a miglior vita) me ne torna in mente uno, Bolivio: una vita passata in miniera, un dito pagato come tributo dopo un volo da un traliccio dell'alta tensione, e molti mesi rubati alla sua esistenza dentro un ospedale. Ma se gli avessimo detto che sorte sarebbe toccata a quelle "malidette cave", scommetto che avrebbe scosso la testa e sbottato col suo classico "Eeh, bel mi' Stali'!", nell'ingenua convinzione che il baffuto georgiano avrebbe rimesso le cose al loro posto. A noi che siamo nati dopo Krushev e abbiamo visto il crisi dell'ideologia del 1989 e il crollo del muro di Berlino, ci viene da dire: "Eeh, bel mi' buon senso!". Ma l'incazzutura è sempre la stessa.


minerali visita parco minerario

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ilvaite minerali rio

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