Ho letto sulla stampa i 10 punti delle proposte degli ambientalisti sulle Aree Marine Protette (AMP), e vorrei esporre il punto di vista di un operatore del settore subacqueo, direttamente coinvolto dall'iniziativa, oltre che alcune considerazioni personali. Questa volontà nasce dal fatto che la pianificazione proposta delle associazioni ambientaliste dell'Isola d'Elba ed espressa nei suddetti 10 punti porta ad un modello di AMP che a mio parere non è funzionale e non centra gli obiettivi che un'AMP dovrebbe avere, e cioè: -tutela dell'ambiente, e -promozione di un turismo naturalistico/ambientale Innanzi tutto alcune considerazioni di carattere generale: nel settore delle Aree Marine non c'e' molto da inventare, basta ispirarsi a quanto di buono è già oggi possibile vedere realizzato nei Parchi Marini di Paesi confinanti. In questi Paesi i Parchi Marini sono costituiti da zone tipo B limitate e chiuse a qualsiasi tipo di pesca. In queste zone è permesso l'accesso solo per la fruizione turistica, sia subacquea, con o senza autorespiratore, che diportistica. Esse sono sottoposte ad un ferreo controllo in modo da scoraggiare in modo rigido azioni di bracconaggio. Tali zone fungono da polmone di ripopolamento per la fauna e la flora marina. Le specie ittiche possono cosi' riprodursi liberamente e, spostandosi nelle zone contigue, le ripopolano stagionalmente. Dal punto di vista del turismo naturalistico/ambientale (risorsa da noi assolutamente sottovaluta), una zona B nella quale sia permesso pescare (anche se in modo limitato) non ha molto senso. I Parchi Marini, laddove funzionano prevedono comunque delle zone nelle quali la pesca è semplicemente vietata. Tali zone devono necessariamente essere di piccola estensione (qualche centinaio di metri ciascuna di estensione lineare, per intedersi) e distribuite a macchia di leopardo lungo tutto il perimetro dell'Isola, identificate secondo criteri di importanza e di peculiarità ambientale. Non ha anche molto senso l'identificare le zone B secondo criteri di Omogeneità tra la zonazione del Parco Nazionale, a terra, e l’area marina protetta, oppure di continuità geografica della zonazione e della perimetrazione, cosi' come proposto: ci sono zone contigue alla zonazione del Parco a terra che non hanno molto valore ambientale, e viceversa zone molto importanti dal punto di vista naturalistico che sono non contigue alle zone del Parco. Se le zone B sono piccole e sparpagliate attorno all'Isola esse non entrano in conflitto nè con le attività di pesca locale nè con il diporto nautico ed il suo indotto. Tali zone restano comunque assolutamente controllabili e gestibili (viene fatto in Corsica ed alle Isole Medas in Spagna, tanto per citare esempi vicini, puo' essere fatto anche da noi) sia ricorrendo alle forze di controllo a mare istituzionali, sia affidandosi alle associazioni di volontari (e qui il contributo delle associazioni ambientaliste sarebbe importante), agli operatori del mare (Centri di Immersione e pescatori professionisti, che sono sempre presenti per questioni di lavoro in mare e sono consci dell'importanza di tali aree di ripopolamento per la propria attività) oppure ad apposite cooperative locali alle quali puo' essere dato in gestione l'accesso alle zone con i relativi introiti derivanti dalla riscossione di ticket di ingresso oppure dalla fornitura di servizi ambientali (ottima a tal proposito l'idea del Parco relativa alla fruizione ambientale di Pianosa, come operatori di turismo subacqueo ne attendiamo con ansia la sua applicazione). Tutto cio' si puo fare se non si crea un conflitto tra necessità di tutela ambientale ed attività che gravitano sullo sfruttamento delle risorse del mare e del turismo. Se parliamo di zone B limitate e sparse per tutta l'Isola cio' è possibile, se parliamo di zone ampie e penalizzanti allora il conflitto diventa inevitabile. Zone C ampie decine di ettari nelle nelle quali si giunga ad una disciplina del turismo da diporto, ad esempio, sono destinate a rimanere una pura utopia ed a rimanere applicate soltanto sulla carta. Per quanto riguarda la zona A, essa dovrebbe essere intesa come uno strumento straordinario al quale ricorrere in modo mirato solo in presenza di elementi di rarità e vulnerabilità particolari, tipo la spiaggia dell'Isola dei Conigli di Lampedusa, sulla quale, in certi periodi dell'anno, si riproducono le tartaruge di mare, ad esempio. Non mi pare che all'Isola d'Elba esistano situazioni di vulnerabilità di tale livello, oltretutto in una situazione nella quale nell'intero Arcipelago Toscano c'e' già una sovrabbondanza di tali zone, basti pensare alle zone di Montecristo, Capraia, Pianosa, Gorgona e Giannutri. Inoltre c'e' anche una questione di metodo: prima si identificano gli obiettivi di tale salvaguardia e poi si propone l'istituzione di zone A, mi pare che qui il processo sia invertito. Una "idea" di Area Marina Protetta cosi' concepita non penalizza neanche la pesca in apnea, sempre cosi' a torto bistrattata. Al contrario di quanto sostenuto nel documento delle associazioni ambientaliste, la pesca in apnea è assolutamente selettiva (ovviamente aggiungerei, visto che l'atleta che pratica questa disciplina sceglie le proprie prede, evitando di insidiare pesci di piccola taglia e di nessun valore sportivo, al contrario di cio' che avviene con altre tecniche di pesca sia amatoriale che professionale). Il suo impatto è praticamente trascurabile, se paragonata ad altre tecniche di pesca (tra lo 0,4 e lo 0,8%, secondo studi condotti dalla FAO e monitoraggi svolti mediante analisi a campione). Con alcune accortezze (cioè proibendo le gare e proteggendo come si fa in Corsica le cernie brune) essa non fa piu' danni di altre pratiche. Si puo' essere parzialmente d'accordo per cio' che riguarda i comportamenti che la pesca in apnea induce sui pesci verso l'uomo, ma comunque delle zone B aperte alla pesca professionale e chiuse alla pesca in apnea sarebbero, oltre che discriminanti, di nessuna valenza per quanto riguarda la salvaguardia della fauna marina. Riassumendo quindi, per trasformare un'area marina protetta da un nome su di una carta nautica ad una struttura che attrae turismo subacqueo sono necessari investimenti sia pubblici che di privati, tesi sia a creare e migliorare infrastrutture e servizi che a fare il marketing della AMP. Tutto questo ha un ritorno se la presenza dei fondali oggettivamente migliora, i siti si ripopolano, la zona si crea un nome. e le promesse degli investimenti in immagine (riviste, fiere di settore, etc.) vengono poi all'atto pratico mantenute. Altrimenti non si fa altro che reintrodurre ulteriori limitazioni che entrano in conflitto con l'elevata antropizzazione dell'Isola d'Elba oppure, nella migliore delle ipotesi, si riproduce il risultato dello Scoglietto di Portoferraio, che è mediamente piu' ricco di fauna di tutte le altre zone dell'Elba, ma è ben lontano dai risultati di Medas e Lavezzi in termini di densità di fauna, e quindi in termini della sua capacità di attrarre turisti.
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