Apprendiamo dalla stampa che il patrimonio dell’umanità rappresentato delle aree minerarie dell’Isola d’Elba è stato ceduto a Coni Servizi SpA. Il compito di questa società è quello di cartolarizzare, cioè vendere. Ora si farà avanti qualche grossa società privata che ovviamente tirerà a «fare ciccia», quindi si indirizzerà sugli immobili che rivestono un interesse ricettivo e balneare e abbandonerà, nell’incuria più assoluta, le zone e i fabbricati di interesse scientifico e culturale che però non producono alcun reddito. Nel suo messaggio di fine anno il Commissario dell’Ente Parco Barbetti sostenne con grande enfasi: «finalmente gli elbani si sono riappropriati delle loro miniere». Bugia più grossa non poteva essere detta, anche perché l’unica appropriazione, se così si può dire, è stato il servizio di manutenzione ordinaria e vigilanza del compendio minerario elbano che Barbetti ha pensato bene di spezzettare fra tre società (però elbane!), causando ulteriori aggravi economici. Ora le responsabilità del Polo sono evidenti, e sono coinvolti sia il governo Berlusconi sia gli amministratori locali del Polo. Il primo, pur di «fare cassa» svende i gioielli di famiglia, ignorando gli interessi del mondo culturale, scientifico, ambientale, e nel caso specifico, anche degli interessi e economici delle popolazioni locali. I secondi, per puro interesse di bandiera, hanno smantellato gli accordi sottoscritti con tanta fatica durante i governi dell’Ulivo. Questi accordi, e in particolare quello di Palazzo Chigi, prevedevano che lo Stato avrebbe finanziato le opere di recupero idrogeologico delle zone minerarie e successivamente il Demanio ne avrebbe passato la proprietà all’Ente Parco Nazionale, poi questo avrebbe affidata la gestione dell’intero compendio al Parco Minerario. Ma i lungimiranti uomini del Polo si sono limitati alla prima fase: mettere in sicurezza le miniere abbandonate. Così è arrivato lo strombazzante taglio del nastro del ministro Matteoli, e ecco spiegato l’arcano: i lungimiranti uomini della Casa delle Libertà hanno risistemato con i soldi pubblici le aree del compendio minerario per poi rivenderle a un prezzo stracciato ai privati.
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