Ho seguito e seguo il dibattito sulla scuola che anche dalle pagine di “Elbareport” tiene viva l’attenzione dei cittadini come di rado era avvenuto negli anni passati. Ho letto anch’io, come i colleghi che hanno scritto all’assessore Nurra, il testo della legge e del decreto legislativo del Governo sulla scuola (la cosiddetta “Riforma Moratti”), l’ho analizzato e studiato, e anche a me non è apparso neppure un punto salvabile; ho partecipato ad alcune assemblee isolane, sono stato a Roma alla grande manifestazione di sabato 17, mi auguro che la grande dichiarazione di dissenso degli operatori scolastici e delle famiglie induca il Governo a tornare indietro. Ricordo ancora come una delle obiezioni che venivano mosse alla riforma Berlinguer-De Mauro da quella che allora era minoranza (per tutti l’on. Casini) si fondava sulla considerazione che la scuola primaria italiana era la migliore del mondo e che in Europa tutti ce la invidiavano, e che quindi non doveva essere in nessun modo toccata; ora le stesse forze politiche, divenute maggioranza, scardinano proprio l’impianto di quella scuola, riconducendola al modello vigente più di trent’anni fa (l’immagine di modernità è affidata a idee come il “portfolio” e all’introduzione nel primo ciclo dell’informatica e della lingua straniera che ci si trovavano già da anni). Sono ancora d’accordo con i colleghi: continuiamo a incontrarci, a discutere, a fare analisi dettagliate del testo legislativo, a valutare le conseguenze che si possono produrre; facciamolo scuola per scuola, e tutti insieme; ma facciamolo. E non dimentichiamo che poi i bimbi crescono, e vanno alle scuole superiori, sulla cui riforma ancora non si è legiferato ma che, per quello che se ne sa, ci deve vedere pronti a intervenire con altrettanta forza. E poi magari vanno all’Università, su cui invece si sta legiferando in maniera devastante, come dicono la Conferenza dei Rettori e il Consiglio Universitario Nazionale, che certo non sono organismi riconducibili a singole parti politiche. Non mi pare, invece, che la scuola abbia il dovuto spazio nel dibattito ampio e anche acceso in preparazione delle elezioni amministrative, e mi spiace. Certamente temi come la trasparenza e la competenza degli amministratori, l’attenzione alla qualità dell’ambiente (e conseguentemente alla sua progettazione, pianificazione e regolamentazione), la preoccupazione per lo sviluppo economico delle comunità sono pertinenti e rilevanti, e sono comunque urgenti. Ma intervengono, in un certo senso, nel breve/medio termine, riguardano il futuro immediato. Se invece vogliamo uscire dalla morsa delle emergenze che si rincorrono legislatura dopo legislatura; se vogliamo uscire dalla logica degli interventi a correzione degli errori commessi; se vogliamo che intervenga il rinnovamento che è indispensabile in ogni aspetto della vita, allora bisogna porre al primo posto la scuola. Una società come la nostra isolana, che vede oltre la metà dei suoi giovani abbandonare la scuola prima del compimento dell’itinerario formativo, si prepara da sola un futuro problematico se non pericoloso. E in ogni caso “vecchio”: il dato sull’abbandono scolastico va letto insieme a quello relativo al reddito ‘pro capite’, che vede l’Elba ai primi posti a livello regionale; e una società ricca e non secolarizzata è necessariamente “conservatrice”, si rinchiude nella sicurezza delle rendite e dello ‘status’ attuale, e si chiude alle prospettive di crescita e di sviluppo. L’orizzonte limitato che la delimita fisicamente e culturalmente abbassa in modo drammatico la soglia dei desideri dei giovani, indirizzandone l’insoddisfazione esistenziale verso compensazioni artificiali e momentanee: come conferma l’alta e crescente diffusione di alcoolici e “stupefacenti”, assunti per consumare una qualche, seppure effimera ‘emozione’ e al tempo stesso per trovare una qualche identificazione e rappresentazione del proprio sé, non più conosciuto (o disconosciuto) come potenzialità creativa e dinamica. La crescita sociale ed economica che ha prodotto radicali e positivi mutamenti nel corso della seconda metà del Novecento si è fondata sull’intuito, la volontà e la laboriosità di quelle che oggi sono le generazioni adulte; ma queste hanno potuto valersi dell’elemento di sostanziale novità dell’attività turistica che allora stava esplodendo. Pensare di condurre tale attività secondo il modello di sviluppo delle sue origini è pura follia in un universo globalizzato. E il problema non sta nelle figure professionali di basso profilo, che si trovano sempre e che si preparano presto e bene; ma nelle figure professionali di profilo alto, di progettazione e di dirigenza dell’economia turistica e dei servizi. E qui il discorso ritorna alle riforme della signora Moratti. L’enfasi posta sul ruolo delle famiglie nelle scelte che devono caratterizzare la scuola è velleitaria o ambigua. Il modello che, nella stragrande maggioranza, le famiglie hanno è quello che ha orientato la propria esperienza, o che (peggio) deriva loro dalla ‘cultura’ dei mezzi di comunicazione di massa, che ‘drammatizzano’ il presente di fatto sdrammatizzandone angosce e tensioni, quando non rispondendo alla funzione di organizzare il consenso. Di nuovo, nella migliore delle ipotesi, la prospettiva è ‘conservatrice’, tende a riprodurre l’esperienza vissuta e i successi che l’hanno gratificata (quando l’hanno fatto). Ma non è proiettata verso il futuro, non guarda avanti, non è intesa a superare lo stato presente. L’abbandono scolastico viene in gran parte da qui. Sicuramente non deriva dalla scuola che, con tutti i suoi difetti, è comunque strutturalmente impegnata a guardare in avanti, è necessariamente orientata alla crescita, è essenzialmente proiettata verso il cambiamento (e l’impegno dei suoi operatori in questi giorni mi pare ne sia valida testimonianza). La scuola non può e non deve essere a servizio DELLE famiglie, ma deve essere un servizio PER LE famiglie: come un ospedale, che non deve chiedere ai pazienti che cosa deve fare, in che modo deve rispondere alle loro esigenze (se non per alcuni aspetti organizzativi che sono fondamentali ma distinti dallo specifico della funzione). Solo se i nostri figli saranno diversi da noi, più avanti, più capaci di progettare e realizzare; solo se saranno più bravi di noi, capaci di superarci in tutto, potremo dire di aver svolto bene il nostro ruolo di genitori. A questo deve SERVIRE la scuola, non a produrre copie di noi. Soltanto così si realizzerà uno sviluppo armonico delle comunità, la qualità dell’ambiente (e conseguentemente la sua progettazione, pianificazione e regolamentazione) assumerà un valore primario, e probabilmente anche la trasparenza e la competenza degli amministratori cresceranno moltiplicando il vero benessere. Per questo sarà bene che anche per le scelte dell’immediato, del breve termine, chi si candida ad amministrare le nostre comunità ponga da subito primaria e costante attenzione alla scuola; e, non limitandosi agli aspetti organizzativi e logistici, inserisca nel proprio programma tutte le azioni che permettano alla scuola di corrispondere appieno alla speranza che le è affidata.
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