Sono appena passate le nove di e ci arriva una telefonata da Bagdad, è Alvaro Claudi, Chef già docente nei Corsi Professionali Alberghieri che dopo due settimane di Iraq chiama per salutare i suoi colleghi della Provincia che lavorano a Portoferraio. Ma è un’occasione per rubare più che un’intervista dei flash a Claudi, che è stato richiamato in servizio per due mesi dalla Croce Rossa Militare di cui è ufficiale. Il tenente Claudi ci parla brevemente del suo lavoro a Saddam City un quartiere residenziale satellite della metropoli irachena dove 36 operatori italiani hanno trasformato quello che una volta era una clinica per notabili del regime in un ospedale per grandi ustionati, soprattutto bambini, che confluiscono da tutto il vaso paese, nel quale la struttura degli italiani pare l’unica destinata a trattare questo tipo di patologie. “Ne vengono tantissimi – spiega lo chef militarizzato ai fini di pace – nel paese si cucina usando ogni tipo di carburante gli incidenti sono frequenti e i più piccoli, attaccati alle gonne delle madri ne fanno le spese…”. Pochi invece i ricoverati a seguito degli eventi bellici ancora in atto, ma la tensione si sente ancora: “Spesso si sentono colpi di armi leggere, noi quando usciamo siamo scortati da polizia irachena ed anche dai militari americani” Ma non accade: spesso per mercoledì è in programma un incontro con l’Ambasciatore, un paio di volte Claudi è dovuto uscire per far provviste. Il suo compito è quello di sovrintendere al vettovagliamento dell’ospedale, ma Alvaro si mette direttamente ai fornelli per il personale italiano: “Lo abbiamo chiamato “Ristorante Isola d’Elba” attualmente l’unico ristorante italiano di Bagdad – dice scherzando il tenente-chef - chiaro che c’è sempre qualcuno in più” Forse qualche connazionale s’intrufola nella mensa della C.R.I. per vincere la nostalgia dello spaghetto ma Claudi non specifica, lamenta la non disponibilità di pesce, ci sono le carpe del Tigri che arrivano freschissime, vive ma con l’inquinamento determinato dalla guerra non c’è da fidarsi molto. E’ strano ma a tratti quell’avamposto di solidarietà italiana sembra di vivere lontani dal “teatro delle operazioni” e Claudi si lascia sfuggire un “Quello che succede qui lo sapete prima voi di noi..” Ma l’incontro con i pazienti, la gente incontrata nelle uscite gli è bastato per capire quanto sia alto il bisogno di un popolo per decenni oppresso da un dittatore sanguinario, stroncato da tre guerre in quindici anni e dall’embargo, con una normalizzazione che tarda a compiersi, mentre a Bagdad manca tutto o quasi, nonostante l’incessante prodigarsi delle organizzazioni sanitarie. Come appunto il distaccamento della Croce Rossa dove lavora Alvaro che resterà ancora un altro mese qui in Iraq, prima che qualche altro volontario venga a sostituirlo, a Bagdad, in divisa, ma davanti ai fornelli della Pace.
claudi alvaro
claudi alvaro cuoco