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Controcopertina: Il Solstizio della Fede e quello della Fiducia

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 26 dicembre 2003

Caro Sergio, ti ringrazio per le poche e sentite parole sul Natale natalizio (in cui l’intensità della fede si misura ormai con l’ammontare di quanto si spenderà nell’occasione, in barba alla povertà di Gesù e di tutti i piccoli e grandi Gesù che muoiono di fame anche a Natale). Su san Nicola di Bari –sull’esistenza reale del quale insistono fondatissimi dubbi– potremmo disquisire a lungo, suscitando nei lettori un interesse travolgente, ma rimandiamo. Mi piace invece la tua festa del solstizio, come te la sei immaginata e come forse è stata davvero. Permettimi solo una piccola suggestione che corregge un poco la tua interpretazione sulla data di nascita di Gesù. Chi l’ha collocata nei pressi del solstizio (V sec. d. C.) forse non era un volgare furbacchione, e quasi certamente non pensava al “mercato delle vacche” che furbacchioni molto recenti vi hanno organizzato attorno; come chi ha collocato la Pasqua attorno all’equinozio di primavera: l’intendimento sembra essere stato quello di utilizzare la celebrazione pagana della “ripresa” della vita –come tu la indicavi–, e la successiva esplosione primaverile, per illustrare la “ripresa” del cammino del Popolo di Dio verso la vita, e il momento della sua “esplosione” attraverso la resurrezione, e la vittoria della morte che essa rappresenta. Restando sul piano di un ragionamento puramente laico, che peraltro è quello che mi appartiene, vorrei sottolineare la sapienza e la “modernità” di quell’intendimento, e soprattutto il suo carattere assolutamente antifondamentalista. Insomma, la “nuova” religione, il “buon annuncio”, si innestava nella vita degli uomini, nei suoi drammi e nelle sue gioie, e vi gettava il seme della speranza di vincere la morte, proprio come la natura ogni anno la vinceva nei suoi cicli. Non c’erano anatemi per chi non conosceva o non riconosceva l’annuncio (erano riservati a chi lo stravolgeva); non c’era l’intolleranza per i lontani; non la superbia di chi, possessore della verità, riteneva di doverla imporre, o di doverne imporre simboli e usi. C’era invece l’attenzione di chi cercava di portare il nuovo senza cancellare ciò che c’era prima, quando vi riconosceva valore e bontà. Penso alle odierne guerre per i burka o gli chador, o i crocifissi; penso alle guerre di religione in corso; penso alle guerre in genere, nelle quali comunque ognuno difende la sua “verità” con il fuoco e la morte. Penso a quella guerra di religione con la quale si vuole imporre il modello occidentale a tutto il globo –la globalizzazione, appunto–, senza curare il fatto che essa stabilizza e accentua le enormi differenze di ricchezza che separano i Paesi ricchi dai Paesi poveri, e all’interno di ogni Paese i ricchi dai poveri. Penso alla guerra di religione per la quale in nome dell’utilità immediata si devasta l’ambiente nel quale viviamo, nel macro e nel micro, senza riflettere a come vi potranno vivere i nostri figli e i nostri nipoti. O a quell’altra per la quale si devasta il delicatissimo ambiente della moralità privata e pubblica, preparando a noi stessi e ai nostri giovani un avvenire di “concretezza” senza speranze, senza sogni, senza felicità. Mi unisco quindi volentieri al tuo augurio di un “solstizio della credibilità”, di un solstizio della fiducia e della speranza. Cerchiamo di riflettere, da laici, senza preclusioni, all’antico messaggio innestatosi sulla credenza più antica del ciclo della natura. Cerchiamo di ritrovare il senso vitale di ciò che facciamo nel privato e nel pubblico, e impegnamoci a creare le condizioni “storiche” del nostro solstizio d’inverno. Con l’equinozio di primavera si metterà in moto il processo delle elezioni: facciamo in modo che il solstizio d’estate veda dissipate le ombre che ci hanno funestato dalla scorsa estate, e sia festa di sole pieno. In questo senso, buon Natale a te e ai tuoi lettori.


tramonto corsica panorama mare ben

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