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Erri De Luca: Il tradimento della scrittura

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : lunedì, 24 novembre 2003

Di Erri De Luca colpiscono le mani grandi, da spaccalegna, un po’ rocciose, da arrampicatore di montagne, che imbottiscono per intero il microfono con cui parla. Non scrive a macchina, e pensiamo che la penna rischi sempre di spezzarsi tra quelle dita che sembrano tronchi d’alberi. E’ una contraddizione, ma non è la sola. Scopriamo che per lui scrivere è “tradire”, immobilizzare in una veste soltanto il multiforme, non dare più scampo alle parole, l’ultima possibilità di parlare con qualcuno, per chi non ha più nessuno a cui raccontare qualcosa: “le scritture concludono le avventure, non le inaugurano.” Parla come scrive, con una tiepida corazza di poesia, piega le parole a suo piacimento, sgretola e ricostruisce le cose a furia di eufonie, sputa sulla scrittura “è il tradimento dell’orale”, ma le mette in mano la sua vita; sembra nemmeno amarla, ma è attraverso di lei che si fa amare. La sala del museo della Linguella era gremitissima sabato sera, con il pubblico in piedi, per assistere all’incontro organizzato da Il Libraio di Portoferraio con lo scrittore napoletano, autore di numerosi romanzi di successo e di alcune traduzioni della Bibbia dall’ebraico antico. “Gli scrittori sono redattori di storie infinitamente già raccontate. Non sono autore, approfitto del diritto d’autore di altri.” “Da noi, dove i vecchi vengono buttati via, si è inceppata la trasmissione del racconto orale, per questo scriviamo. Ogni scrittura viene dal terrore della cancellazione.” Il pubblico della saletta reagisce, non ci crede, controbatte: “ma lei è il peggior promotore di se stesso”. Sorride e ringrazia del complimento. Il militante di Lotta Continua e l’operaio della Fiat sembrano un po’ lontani, l’allusione politica più recente è quella ai fatti del Cernis, alla servitù di passaggio della quale sin dal dopoguerra si sono arrogati gli americani in Italia, ma non va oltre, non accenna al Medioriente in fiamme, se non indirettamente parlando dell’occupazione della 6^ Flotta statunitense a Napoli dove “il dopoguerra non passava mai”. Dritto e magrissimo non ha più addosso la furia delle barricate, del corpo a corpo con i poliziotti, parla di resistenza in termini meccanici come “il tentativo di mettere un po’ di sabbia verso la consumazione della macchina-mondo”, ma è come se stesse già pensando alla domanda successiva, o al sentiero di montagna che lo porterà in alto “ospite dell’aria”. Insiste nel parlare di “tradimento” della scrittura che è soltanto un surrogato, poi qualcuno gli chiede della sua attività di traduttore, e notiamo che “tradire” e “tradurre” hanno la stessa radice. Il vizio perciò è ostinato. Conclude con un altro atto di sconfessione: “le parole non proteggono più”. Solo allora ci pare che non abbia perso del tutto il piacere della resistenza.


erri de luca rovini

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