Cari compagni DS, non mi pare che, come è stato detto, “anche all’Elba, si sta tentando, in maniera più o meno velata, di mettere in discussione il ruolo dei partiti”. Mi pare piuttosto che in maniera pochissimo velata si stia sottolineando l’abbandono del proprio ruolo da parte dei partiti. E i movimenti, i comitati, i laboratori, i cittadini non sono tanto interessati a giudicare i partiti “con asprezza”, quanto a veder di fare quello che i partiti non fanno più. Del resto, se si comincia a rivendicare la storia vuol dire che l’attualità parla poco: se le tradizioni e i valori non si leggono più in trasparenza nell’agire del pre-sente finiscono per divenire il rimpianto di ciò che non è più. Allora non è questione di domandarsi se i partiti servano o non servano: lo si deve vedere dalle funzioni che ‘ora’ svolgono o non svolgono; e se siamo a domandarcelo vuol dire che non stanno svolgendole in modo evidente, o soddisfacente. E la ‘storia’ diviene allora giudizio o condanna. Il ruolo dei partiti richiamato dalla Costituzione prevede che concorrano con metodo democratico a “determinare” la politica nazionale e quella locale; se questo ruolo non si vede più, non dipende da chi non lo vede, ma da chi non è più capace di esercitarlo. E allora, loro malgrado, emergono quei soggetti nuovi che i partiti fanno fatica ad accettare o a tollerare, perché li vedono come una minaccia all’esclusiva di una rappresentanza politica che invece, di fatto, non esercitano quasi più. Non mi piace sentir dire che il ruolo ed il compito di un partito è quello di ‘ascoltare’: il senso del partito è davvero nell’assumere la ‘rappresentanza’ di chi esprime opinioni, propositi, ideali, certo quando siano omogenei e idealmente congiunti con la sua ispirazione –questa sì, storica–. Anzi, direi, il partito ha il compito di tradurre idee e opinioni in progetti operativi rigorosi, e di trovare le persone che siano capaci di dar loro corso sulla base di specifiche competenze e professionalità, con la garanzia della condivisione di idealità e giudizi. Quando i partiti non sono più capaci di svolgere questa funzione, ma si limitano al ruolo di Ufficio di collocamento dei propri adepti più antichi e più fedeli (per di più sulla base di liste d’attesa e di merito interno più che sui criteri richiamati di competenza e professionalità), allora nascono gli “altri soggetti”, i movimenti, i comitati, i laboratori: e non si tratta di riconoscerne stimoli e verità da sottoporre ad analisi e da osservare con ‘comprensione’, ma di rendersi conto che la loro esistenza è la cartella clinica del pessimo stato di salute dei partiti. Il dualismo fra il ‘partito’ che ‘fa politica’ e i movimenti che fanno poco più che folklore è poco attento e poco generoso: spesso chi sta nei ‘movimenti’ fa politica da sempre, ai margini perché emarginato; e alla fine ‘alza la testa’ perché gli pare che i partiti la chinino troppo o l’abbiano volta altrove. E ai margini si fa politica con fatica notevole, e consapevole. E’ stato detto che il compito del partito “era ed è quello di dare risposte alla complessità dei bisogni che una città esprime, guardando sia agli interessi generali, sia alle particolarità”. Io dico che il suo compito è quello di essere sempre presente e di farsi sentire: di proporre analisi lucide e persuasive, di rappresentare cause e soluzioni, di indicare compiti e uomini. Attenzione: non quello di elaborare analisi, individuare cause e soluzioni, di costituire i propri iscritti come esecutori dei compiti: questo si fa con la competenza, non con la tessera; e in ogni caso con la tessera e con la competenza. Il compito del partito è la diffusione dell’informazione politica, è la creazione del consenso, è la costituzione e la difesa del vincolo di appartenenza, è far sentire che si è insieme in cammino verso la realizzazione di grandi progetti –non di grandi parole d’ordine–. Allora massimalismo e realismo divengono complementari, e offrono materia di riflessione a chi deve scrivere i progetti di governo e a chi deve dar loro corso. Anche sulla questione dei gruppi dirigenti vorrei dire due parole chiare. Quando si comincia a fare appello alla elezione democratica nei congressi –della quale nessuno discute– vuol dire che non si è più capaci di ‘trascinare’, che non si è più in grado di costituire punto di riferimento. Quando si comincia a distinguere fra chi è iscritto e chi sta fuori, si è già rinunciato a essere altoparlante di tutti i compagni, anche quelli ora ‘lontani’. Soprattutto quando il numero di quelli che stanno fuori è incommensurabilmente più grande di quello degli iscritti. Per piacere, non facciamo come il WWF o Legambiente, dove con cinquanta euri di tessera si compra il diritto di dire a tutti come si deve stare al mondo. Non si tratta allora di promettere che “gli attuali gruppi dirigenti DS della zona e delle sezioni si impegneranno a rendere più moderno e proficuo il rapporto tra società e cittadini con le istituzioni, rapporto che dovrà essere fondato su impegni concreti che le nuove giunte di centro-sinistra dovranno sottoscrivere”. . Io credo che così il partito potrà diventare dieci volte più forte e più presente, e tornare ad essere protagonista della nostra realtà, riprendendosi i consensi che “l’esaurirsi della forza propulsiva” delle dirigenze attuali –a tutti i livelli– ha lasciato trasferirsi verso proposte indegne d’esser definite politiche. Si avvicinano numerose e importanti scadenze elettorali, ed è innegabile che ora il ruolo del partito è più che mai vitale. Ma non facciamocene uno scudo per salvarci anima e posizioni personali. Lasciamo che a gestire queste scadenze sia il lievito nuovo che già sta fermentando fra di noi. A noi più vecchi non corre dietro più nessuno; se ci toccherà di correre dietro a qualcuno che ci porta dove abbiamo sempre voluto andare, dove abbiamo sempre cercato d’andare, non c’è che da essere contenti. E forse si ritorna giovani.
castello volterraio da vicino
quercia
punta fetovaia nuvole tramonto