Caro Pino L’ultima volta che ci siamo visti di persona, alle Ghiaie, scherzavi sul fatto che rispondendoti su queste pagine (come Tardò Jr ad un salace pezzo che avevi siglato Grondaia Jr) avevo terminato con un: “Aridatece la D.C.!” “Oh …ci sete venuti – dicevi ridendo - a Canossa, brutti comunisti! Dicevate che non volevate morire democristiani e ora ‘un vi parrebbe il vero! Ma, come avrebbe detto il mi’ zio Don Giuseppe, non siamo ancora al pentimento operoso!” A qualcuno ora parrà irriverente (ma non me ne curo molto) che, proprio in occasione della tua dipartita ti risponda nello stesso tono, notando che ci hai lasciato (presto, troppo presto) ma comunque in un’Italia diversa da quella imperante in una sera d’estate di poco tempo fa. Un’Italia forse con più toppe al culo ma con molta più dignità, un’Italia conservatrice (come a te piaceva e a me no) ma liberata dal re degli ignoranti, un’Italia in cui potrebbe anche rinascere il gusto della politica vissuta dalla gente comune. Torno a spiegarti, come feci allora che rivolevo la D.C. non per “andare a Canossa”, ma per tornare al confronto con entità politiche che non fossero virtuali, finte, rivolevo la D.C. anche perché mi mancava quello scontro che talvolta debordava in litigio, ma mai sconfinava dal sacro territorio della democrazia, della legittimazione dell’interlocutore. Forse, dico forse, Pino, ci sono i presupporti per ricostruirla, in questo paese, quella democrazia sostanziale che è rimasta sospesa nei quasi 20 anni di dominio della filosofia dell’avere e dell’apparire a scapito della cultura dell’essere, e mi dispiace che non ti sia stato concesso di vedere come finirà almeno questa fase storica. Mi mancheranno le tue dissertazioni sui ghiozzi di buca e di fondo, mi mancherà il tuo colto scrivere leggero, il tuo impietoso irridere le mezze calzette locali e nazionali che si ritengono dei padreterni, la tranquilla passione che mettevi in quello che facevi, mi mancherà il disaccordo con te Un abbraccio
ghiaie mare