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Paesaggio, bene comune e salute pubblica. Verso la chiusura del cerchio

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 14 dicembre 2011

Sbaglia di grosso chi pensa che un archeologo moderno si occupi, in tutto o in prevalenza, di vasi , di coccetti, di muretti. L’archeologo moderno, anche quando ha una formazione da storico dell’arte (Salvatore Settis) sa guardare alle geografie che lo circondano e sa interpretarne storie, sofferenze e disagi, come in un romanzo. Uno stesso percorso unisce il bel paesaggio dipinto o descritto dai viaggiatori del passato, il paesaggio per come viene ricostruito da storici e da archeologici, il paesaggio a rischio dei geologi, quello degli agronomi, quello degli urbanisti. Infine, il paesaggio dei cittadini quello sul quale tutti noi camminiamo e dal quale tutti noi traiamo, o dovremmo trarre, cibo, benessere, svago. In ossequio ad una modernità rozza e approssimativa, quella per cui tutto può e deve essere sfruttato per creare ricchezza, negli ultimi tempi la Toscana è diventata terra di sperimentazione per forme di urbanizzazione selvaggia. Capannoni, finti PEEP, insediamenti turistici. E porti. La febbre portuale di questi ultimi anni non conosce sosta. Il paesaggio dei pittori, naturalmente, non esiste più e, probabilmente, questo è un bene. Al di là della rappresentazione visiva dei luoghi, creata essenzialmente per rappresentare l’immagine del Bel Paese presso le culture egemoni dell’Europa, si aprivano, per le classi subalterne del Bel Paese medesimo, scenari di spaventosa miseria e di pestilenze e carestie che colpivano senza pietà: nel 1840 l’aspettativa media di vita a Firenze era di 40 anni; in Maremma la metà. Rimpiangere i secoli del bel paesaggio italiano può, dunque, essere un attraente esercizio di stile ma non un punto da cui partire per un ragionamento storico attendibile. Il paesaggio degli storici e degli archeologi è esso stesso in via di dissolvimento. Le agricolture contemporanee, e soprattutto la vitivinicoltura, oggi tecnologicamente molto aggressiva, cancellano colline, spianano pendii, modificano versanti. Le nuove opere urbanistiche trasformano le campagne in periferie desolate. I geologi hanno raccontato e scritto, fino alla noia, che, continuando in questo modo il meno che possa capitare è di finire tutti travolti dal fango e dalla melma. Loro hanno scritto, la natura si incarica, talvolta con terrificanti esperimenti ripetuti (Toscana-Liguria-Elba-Messina), che hanno ragione. Negli ultimi decenni la stessa scienza agronomica è stata piegata alle esigenze del profitto, cosicché le diverse monocolture di pregio (il vino prima degli altri) hanno finito con lo stravolgere i paesaggi italiani e si è arrivati a sfasciare intere colline per riplasmarle in forme ottimali dal punto di vista dei versanti, delle esposizioni al sole e delle pendenze (tutto finto). Oggi gli agronomi più avveduti e moderni sostengono che l’unica sicura salvezza può venire da un ridisegno armonico dei paesaggi agrari, che consenta una equilibrata autosufficienza ai diversi contesti. Intanto le proliferazioni-esondazioni urbanistiche (chiamate sprawl) travolgono tutto e tutti. Fra poco non ci sarà più spazio per niente. I nostri paesaggi saranno un continuum indistinto di case e di capannoni. La progressiva invasione degli spazi rurali, unita all’abbandono dei coltivi già esistenti, sta già modificando i microclimi della piana fiorentina e della val di Cornia (per non parlare dell’aumento esponenziale del rischio idro-geologico. Adesso scopriamo che la qualità della vita, all’Elba, è tutt’altro che buona (Elbareport di martedì 22 novembre: “Tumori all’Elba una realta’ da indagare”). Le incidenze tumorali sono in costante aumento. Fra le molte cause possibili: scarichi industriali piombinesi o di altre fonti marine, onde elettromagnetiche, radon, acqua all'arsenico, stili di vita errati degli isolani. Tutto questo, però, è ancora da studiare, bisogna uscire da una impressionistica valutazione quantitativa dei dati e svolgere analisi specifiche. Sembra quasi pazzesco anche soltanto immaginare che all’Elba si possa vivere male e ci si possa ammalare ma è così. Il profitto ha vinto su tutto tanto che, anche su un’isola, è ormai più facile trovare un cartone di sofficini che un kilo di sardine o di sardine. Oppure dei poveri ortaggi estenuati dopo avere viaggiato dalla Puglia (dove sono nati) al Veneto (impacchettati) a Firenze (smistati) a Piombino (imbarcati). Pensate a quale è il contributo negativo dato da questi pessimi prodotti, trasformati in merci purchessia dall’ormai diabolico sistema della grande distribuzione, all’inquinamento dell’aria e alla congestione del traffico. Vogliamo davvero credere che un broccolo che ha percorso 1000 kilometri e un tragitto in nave prima di arrivare sulla nostra tavola costi meno di un broccolo nato a Mola e mangiato a Carpani? E, se ci fosse un’offerta alimentare più ricca e più varia, non credete che gli isolani mangerebbero meglio? E, se ci fossero aree più e meglio coltivate, non pensate che i versanti sarebbero più stabili e i fossi meglio gestiti? Si tratta di impostare un cambiamento epocale, di spessore, intensità e portata pari almeno a quelli del miracolo economico. Investire nelle risorse riproducibili dei diversi contesti invece che nelle attività immobiliari. Fuori della consolatoria icona dell’isoletta verde e blu, con l’aria bona e il mare pulito, sussistono inquietanti problemi di governo del territorio, governo che tenga conto del bene comune dei cittadini (la salute pubblica) prima che del profitto di alcuni. Tutte le cose sono insieme. Perché, a questo punto, il cerchio comincia a chiudersi: nel bene e nel male, lo stesso filo unisce il paesaggio dei pittori settecenteschi, il paesaggio del passato ricostruito da storici e da archeologici, il paesaggio a rischio dei geologi, quello degli agronomi, quello degli urbanisti. Nel paesaggio più recente, che dovrebbe essere il nostro, noi camminiamo e noi possiamo e dobbiamo decidere se debba essere fatto per produrre benessere per tutti, agiatezza per pochi o cancro per i più deboli e sfortunati.


san giovanni panorama

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