Nonostante si costituiscano movimenti e comitati che scendono in piazza per manifestare disagio e dissenso, talvolta assumendosi addirittura l’onere di un lungo e costoso percorso giurisdizionale, c’è ancora chi continua a impostare il dialogo e il dibattito sulla sola contrapposizione fra le nuove forme di associazionismo politico e quelle tradizionali. Analizzando le novità dell’attualità politica (locale e nazionale) il coordinatore di zona dei DS ci chiama in causa citando i laboratori tra i soggetti che tentano “in maniera più o meno, velata di mettere in discussione il ruolo dei partiti”. Vogliamo subito precisare che nessuno mette in discussione il “ruolo” istituzionale dei partiti. Pur ammettendo che un confronto sull’argomento sarebbe indubbiamente utile, anche se nel quadro del più ampio dibattito sulla crisi della democrazia rappresentativa, a nostro avviso non è il “ruolo” dei partiti ad essere in discussione. E’ in discussione la loro reale capacità di cogliere le istanze di una collettività in fermento, è in discussione sia l’attitudine dei partiti a svolgere concretamente la funzione cui sono demandati che l’attendibilità della proposta politica di soggetti sempre più distanti dalla società civile. Ciò non ha nulla a che vedere col ruolo delle forze politiche; riguarda piuttosto la loro capacità di interpretarlo. Quando poi si afferma che la storia, le tradizioni e i valori di un partito sono di per sé la risposta a chi ne critica l’operato, oltre a precludere ogni ipotesi di dialogo, si rende più profondo il solco tra le forze politiche e quella parte consistente della società civile che chiede a gran voce l’individuazione di nuovi strumenti di democrazia diretta. Girotondismo, movimentismo e quant’altro viene indicato con più o meno velata ironia, distacco o preoccupazione, rappresentano forse l’ultima opportunità per riproporsi ai cittadini, elettori e non, con rinnovata capacità di dialogo su tematiche nuove, ma anche in spazi e con ruoli diversi, senza negare le specificità delle parti e, comunque, non fondando solo su queste gli strumenti del confronto. Evidentemente il calo degli iscritti e le sconfitte elettorali non sono un sufficiente sintomo di crisi. Probabilmente il fatto che i cittadini si associno in nome di problematiche specifiche non genera, in alcuni esponenti di partito, il dubbio di aver abbandonato degli spazi fondamentali. Chi spera che la storia, i valori e le tradizioni compensino da soli un crescente difetto di rappresentatività, oltre ad illudersi e a peccare di presunzione, non ha ancora preso coscienza del perché le sezioni sono deserte, né vede la ragione per la quale molti aderiscono ai movimenti senza prendere in minima considerazione l’ipotesi di rivolgersi ad un partito, tanto meno coglie i motivi che inducono un numero enorme di cittadini ad astenersi dal voto. A nostro avviso, l’attuale situazione offre ai partiti l’opportunità di recuperare parte del terreno perduto attraverso una scelta di rinnovamento nel metodo di elaborazione della proposta politica. Ed in contesti come il nostro, ossia in realtà nelle quali l’elemento personale ha un peso determinante, un tale passaggio è strettamente legato al coinvolgimento di nuove soggettività e di cittadini non iscritti. Circa il riferimento all’articolo 49 della Costituzione, lasciamo volentieri agli esperti di diritto pubblico l’ermeneutica e la chiosa di norme, che per loro natura richiedono una valutazione ultraletterale. Ci limitiamo ad osservare che l’articolo 49, come ogni altra disposizione di legge, richiede un’interpretazione sistematica, e in ogni caso non intende attribuire ai partiti il primato o l’esclusiva nella “determinazione della politica”. A conforto di questa nostra convinzione, uno dei più importanti costituzionalisti italiani, commentando il testo dell’articolo 49, affermava che “…la risposta negativa alla domanda se solo i cittadini iscritti ai partiti determinano la politica nazionale trova la sua più autorevole conferma non solo in argomenti testuali (“…concorrere…a determinare…”) ma nella già rilevata specificazione, rispetto all’articolo 18….Cosicché è dato affermare che i partiti (rectius: i cittadini associati in partiti) “concorrono” alla determinazione della politica nazionale assieme ad altre forze politico-sociali. La tendenza abbastanza diffusa a considerare cittadini pleno iure solo gli iscritti ai partiti…non è in consonanza con lo spirito del pluralismo politico della nostra Costituzione e viola il diritto dei non iscritti a concorrere anch’essi a determinare la politica nazionale…”.
manifestazione su la testa