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Il gruppo di San Rossore mette a punto impegni e iniziative su parchi e bacini

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : sabato, 12 novembre 2011

L’incontro pisano del gruppo di San Rossore non ha dovuto faticare molto purtroppo a individuare e mettere a fuoco le questioni sulle quali urge drammaticamente una iniziativa culturale, istituzionale e politica che non si limiti alla denuncia sullo stato dell’ambiente per rilanciarne una gestione integrata ed efficace. I disastri che hanno colpito e stanno colpendo con effetti tragici molte parti del paese ripropongono, infatti, una questione finora largamente elusa o sottovalutata e cioè un efficace e nuovo governo del territorio e dell’ambiente. Che i dissesti del suolo, il consumo di territorio, gli sfregi al paesaggio, la distruzione della natura vedano in particolare proprio i bacini idrografici e i parchi nazionali e regionali in forte difficoltà e con loro tutto il sistema istituzionale sotto tiro vuoi per i tagli finanziari che per il ridimensionamento del loro ruolo fino alla mortificazione più irresponsabile, da bene l’idea di come il governo del territorio previsto dal titolo V della costituzione da oltre un decennio sia stato considerato dallo stato ma anche dalle altre istituzioni. Qui forse più che in altri comparti della politica nazionale si registra una pesante corresponsabilità bipartisan che deve far riflettere. Non è certo un caso, ad esempio, che nel dibattito sulla nuova legge sui parchi al Senato sia difficile distinguere le posizioni dei diversi protagonisti che stanno concordemente stravolgendo le finalità e i compiti dei parchi e delle aree protette, tanto più grave in un momento così serio per l’ambiente e i beni comuni del nostro paese. Che tra le cause principali vi siano innanzitutto per il suolo come per le altre politiche di tutela della natura e del paesaggio le scarse e del tutto inadeguate risorse finanziarie è fuori discussione e a questo si aggiunge -come ha detto l’assessore regionale all’ambiente della Toscana Bramerini- che l’aver inserito questo tipo di interventi nel patto di stabilità ha ovviamente reso più difficile anche l’utilizzo di queste risorse disponibili sulla carta. Ma c’è qualcosa di più e più di fondo che stenta ancora ad emergere a cui ha fatto riferimento in una sua intervista l’architetto Vezio De Lucia e cioè l’assetto istituzionale previsto a monte dal nuovo titolo V che delinea la via della sussidiarietà e del federalismo. C’è da chiederci insomma se spostare i centri di decisione verso il basso secondo un federalismo verticale , secondo il sistema della autonomie è la via più giusta ed efficace. Domanda legittima che riguarda però un percorso mai seriamente intrapreso se è vero che il paese –come è stato autorevolmente documentato- non ha mai conosciuto una fase tanto connotata da un centralismo forsennato a cui non poche sentenze della Corte hanno dato e stanno dando spesso una mano, nonostante riconoscano che occorrerebbe quella trasversalità quasi sempre ignorata ed aggirata. Del resto sia le modifiche alla legge 183 sul suolo al pari del nuovo Codice dei beni culturali e paesaggistici hanno portato sotto questo profilo vasi a Samo. E tuttavia qui vi è un nodo che giustamente De Lucia evidenzia e cioè la necessità di ribadire che il nuovo titolo V non deve depotenziare né il ruolo dello stato né quello delle regioni e degli enti locali ma ‘semplicemente’ permettere quella leale collaborazione istituzionale ai quei livelli di adeguatezza e giustezza che consentano quella integrazione e ‘trasversalità’ appena richiamata che è condizione fondamentale perché la Repubblica sia effettivamente composta da ‘stato, regioni e autonomie locali’. Qui, infatti, noi scopriamo ,ad esempio, per quanto riguarda il suolo che se da un lato le cifre ci ricordano che quanto viene tagliato e ‘risparmiato’ nella fase di prevenzione lo ripaghiamo poi salato non solo sotto il profilo dei danni alle persone e alle cose ma anche del bilancio perché curare costa assai di più che prevenire. Ma detto questo va anche aggiunto che in più d’un caso –vedi anche l’Arno- non riusciamo a spendere in tempi ragionevoli le risorse di taluni progetti che per cause varie non vanno avanti o vanno avanti con il rallentatore. Per rimuovere questo ostacoli come hanno ricordato sia la Segretaria del bacino dell’Arno che l’assessore Bramerini per la cassa di espansione del Renai, si ricorre ad una serie di commissari. E’ legittimo chiedersi perciò perché c’è bisogno di così tanti interventi commissariali. Non c’è anche qui un segno e una conferma che l’attuale ‘assetto’ dei bacini non risponde alla esigenza primaria di mettere in rete efficacemente tutti i soggetti senza dar luogo a spezzatini che complicano le cose. Vale per i bacini ma anche per i piani dei parchi che richiedono tempi sovente lunghi per essere predisposti ma che ciò nonostante poi restano fermi in qualche cassetto regionale per tempi non meno lunghi. E qui si pone un altro aspetto sotteso agli interrogativi posti da De Lucia e che riguarda anche la Toscana e cioè il rapporto tra piani e pianificazioni speciali appunto come quelle dei bacini e dei parchi che operano su dimensioni non definite da confini amministrativi, e quelle degli enti elettivi. Se, come si è sostenuto per alcuni anni anche in Toscana, a gestire la pianificazione devono essere solo gli enti elettivi per cui anche i nulla osta dei parchi sono stati inopinatamente restituiti dopo decenni ai singoli comuni con effetti sui tempi ma anche sui contenuti che non è difficile prevedere e intuire, è chiaro che ci troveremo incartati come il PIT ha dimostrato. Se dunque pensare che maggiore è la competenza dello stato tanto meglio andranno le cose è una solenne balla come dimostra l’assenza di piani nazionali seri e credibili sul suolo come sul paesaggio e la natura, non lo è di meno l’idea che più si ridimensiona la competenza dello stato tanto meglio sarà per il ruolo delle comunità locali. Il risultato finale sarà quello che abbiamo sotto gli occhi in Liguria come in Toscana. Pensare, tanto per fare un esempio, che un fiume come il Po possa essere gestito a pezzi per cui certi tratti possano essere ‘bacinizzati’ per ambiti regionali per le energie rinnovabili, ignorando gli effetti che ciò avrà a valle è prima ancora che un errore un rischio perché come ebbe a dire il presidente della regione Emilia Errani ‘il fiume delle nostre beghe amministrative se ne infischia’. Di questo si è discusso approfonditamente nell’incontro a Pisa dandoci un appuntamento nazionale per discutere dei 20 anni della legge quadro sui parchi ma anche più in generale del tema del governo del territorio e delle ambiente dove parchi, bacini, paesaggio, urbanistica, troveranno quel comune contesto e integrazione che oggi manca perché prevalgono ancora oltre che la disarticolazione quando non la contrapposizione tra livelli istituzionali il settorialismo che impedisce alle specifiche materie e competenze di confluire in un impegno unitario di governo nazionale e oggi anche europeo. Stiamo riattivando anche il nostro sito dove potremo presto tornare a discutere e confrontarci.


Fosso della Madonnina foce

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