Una bella giornata di sole e un mare disteso hanno accolto i partecipanti all’escursione programmata da tempo per far conoscere l’isola di Montecristo agli abitanti delle altre isole dell’Arcipelago. Occorre ricordare che il Diploma Europeo attribuito a Montecristo comprende il rispetto di ferree regole che limitano gli accessi a terra a 1000 persone all’anno e precludono ogni utilizzo dello specchio marino attorno al periplo. Dal 2008 il Parco Nazionale, in accordo con il Comune di Portoferraio e l’UTB di Follonica (presidio di controllo disposto dal Corpo Forestale dello Stato per rispettare le direttive europee) ha inteso favorire la conoscenza del leggendario scoglio toscano alla popolazione locale, così dei 1000 posti disponibili sono stati prenotati per gli elbani 200 per studenti e 100 per adulti. Ieri, dopo il rinvio del precedente weekend, il gruppo è salpato di buon ora per l’isola del tesoro, accompagnato da quattro guide esperte e dal direttore del Parco. A bordo tanti camminatori attrezzati per compiere l’escursione impegnativa e arrivare al cospetto dell’antico monastero. “Il tesoro dell’isola reso famoso da Dumas forse ha una verità nascosta” commenta la guida Antonello Marchese “ i monaci benedettini raccoglievano le offerte per consolidare gli edifici religiosi e per costruire un sistema difensivo più efficace. Dragut, il corsaro, piombò sull’isola prima del previsto, ridusse in schiavitù i monaci e forse riuscì ad afferrare il gruzzolo dorato custodito dai pii servitori della fede”. Chissà se sarà andata proprio così? Quel che è certo che le vestigia del monastero e i resti murari che emergono dalla macchia sono segnali di una antica frequentazione dell’isola che, dopo la distruzione della fine del XVI secolo, rimane a lungo indisturbata nel suo isolamento, con le capre superstiti dei coloni neolitici. “ Il tesoro oggi c’è ancora “ illustra ai partecipanti Franca Zanichelli, direttore del Parco “ ed è rappresentato dal luogo in sé come reperto originale di confronto. I fondali attorno all’isola sono considerati dagli scienziati il miglior campione di riferimento per valutare la ricchezza di biodiversità e la complessa composizione degli organismi che costituiscono le comunità. Ogni rilievo sottomarino svolto altrove nel mare Toscano dà risposte più mediocri.” Quindi l’isola rappresenta l’unità di misura da preservare nella sua massima integrità per tenere il modello e questo può far comprendere il valore dei divieti. ”In terraferma le cose sono andate un po’ diversamente” prosegue il direttore “ dalla fine del secolo scorso sono cominciate le immissioni di specie vegetali esotiche per trasformare il Cala Maestra in un giardino inglese con annessi appezzamenti agricoli. L’idea è naufragata ma le specie più spregiudicate sono riuscite a mescolarsi a quelle naturali per poi prenderne via via il posto. Un bel guaio al quale oggi cerchiamo di porre rimedio con un sostanzioso finanziamento assegnato dall’Unione Europea al UTB – CFS che coinvolge il Parco Nazionale , l’ISPRA e altri soggetti pubblici e privati per ridurre l’impatto di queste specie concorrenti che pregiudicano la vitalità delle forme naturali più timide. Quindi vi sarà la derattizzazione per l’eliminazione del ratto nero. Questa presenza massiccia è la causa di maggior danno per le covate degli uccelli marini, come la Berta minore, qui presente con il 15% della popolazione europea. E’ già iniziato il trattamento dell’Ailanto per estirparlo in modo definitivo e vi sarà un’azione di monitoraggio sulla capra per la traslocazione di alcuni esemplari in aree delimitate per avvantaggiare il recupero delle piante indigene, assai più appetite dell’Ailanto e perciò più danneggiate.” L’escursione è stata un’occasione davvero utile per condividere il valore positivo delle regole che spesso vengono considerate banalmente assurde. Molti non sapevano che un duro colpo per l’isola poteva essere la lottizzazione già confezionata da una società immobiliare romana alla fine degli anni ’60. Per quella improbabile casualità per cui qualcosa è andato storto, oggi l’isola non è cementificata. Così non è divenuta un patrimonio di pochi ed è rimasta un gioiello per tutti: soprattutto un orgoglio per l’Arcipelago. I commenti a fine giornata sono stati positivi. Tutti hanno apprezzato la professionalità delle guide e degli agenti forestali e la disponibilità dell’armatore che ha cambiato rotta per il rientro per agevolare il confort dei partecipanti. Un ultimo pensiero va ai tanti piccoli migratori incontrati sull’isola. Spesso siamo troppo distanti dalle vicende di questi uccelli di poche decine di grammi che compiono viaggi di migliaia di chilometri con un rischio di mortalità enorme. Ora è il passo di ritorno dal Nord Europa verso l’Africa e l’isola di Montecristo è una grande zattera su cui sostano per ritrovare le forze. Giorgio e Luciana, i due guardiani dell’isola, hanno creato una piccola oasi dove i più fortunati riescono a rifocillarsi. Così è stato possibile scattare tante immagini ravvicinate di specie conosciute e altre meno note, avvistando anche un bell’ esemplare di Merlo dal collare, tutto nero con la gola bianca, proveniente dalle praterie alpine. Per il 2012, i proventi delle quote di iscrizione dei 100 partecipanti di ieri non utilizzati per coprire le spese sostenute verranno assegnati per cofinanziare le trasferte delle scolaresche. I docenti interessati dovranno programmare entro il 20 gennaio prossimo per prenotare le due giornate a primavera all’UTB e organizzare i viaggi.
Montecristo approdo