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Controcopertina: Indignati

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 20 ottobre 2011

Michael Franti, poeta e rocker americano, intervistato durante una trasmissione di intrattenimento di Radio Due sugli incidenti romani di sabato, ha osservato: “Non sono i disordini a creare i problemi, sono i problemi a creare i disordini”. Semplice e di buon senso. E, come sempre per le cose di buon senso, degno di attenzione. Tutto quel che è accaduto sabato si era già visto altre volte, e sarebbe bene evitare di cadere in errori già commessi. “In piazza c’era il Movimento degli indignati, e si sono infiltrati i Blackblock. Così cinquecento teppisti hanno rovinato una manifestazione pacifica, che aveva riscosso importanti testimonianze di solidarietà”. E’ certamente vero che la manifestazione, collegata con le analoghe che si sono svolte in tutto il mondo, è diventata –nelle fonti di informazione- solo la rappresentazione della guerriglia urbana; ma dire che i teppisti (credo assai più di cinquecento: ma la DIGOS dov’è?) sono -come sempre si dice- un corpo estraneo alla società, e che è indispensabile isolarli e neutralizzarli così poi tutto torna ‘normale’, questa è una semplificazione pericolosa, e in passato ha fatto prosperare le formazioni armate come le BR. Perché gli odierni ‘teppisti’ –Blackblock, Antagonisti, Centri sociali, Anarcoinsurrezionalisti, Autonomi, Extraparlamentari, ecc., come sono stati di volta in volta definiti- sono una presenza costante nei decenni, e rappresentano quindi una parte della società, minoritaria quanto si vuole e fortemente sfuggente a identificazioni sociali o politiche, ma variamente diffusa sul territorio. E’ vero che il loro modo di intervento nella dinamica sociale –la pratica sistematica della violenza- è generalmente rifiutata da tutti gli altri soggetti sociali e politici: ma sottolineare il rifiuto della violenza come tratto comune a tutti i ‘buoni’ e come discrimine con i ‘cattivi’ ha l’effetto perverso di nascondere che vi sono differenze politiche assai più marcate fra ‘establishment’ e Movimento che non fra Movimento e ‘gruppi antagonisti’: poiché con questi ultimi la differenza si pone essenzialmente –e non è certo poco- sul modo di intervento, ovvero sull’uso della violenza; ma anche all’‘estabishment’ si rivolge l’accusa di usare la violenza del denaro e del potere per deprimere -quando non opprimere- i più deboli. Voglio dire che la realtà è assai più complessa della sua rappresentazione. La grande manifestazione di sabato ha inteso dar voce a chi –un’intera generazione- è stato dalle politiche ‘anticrisi’ (o dalle ‘non politiche’) respinto ai margini della società, privato di ogni possibilità di protagonismo sociale, di presenza sociale, di protagonismo individuale, escluso dalla possibilità di progettare il futuro personale e della società in cui vivere. I livelli di consapevolezza e di discernimento fra i partecipanti erano ovviamente differenti: potremmo dire che il livello più basso era costituito da chi ha ritenuto che “spaccare tutto” fosse comunque un modo di ‘partecipare’. Chi partecipava in quel modo ha commesso dei reati, e deve essere punito per quelli, ricordando che i reati sono sempre personali, e che punizione e prevenzione non devono coinvolgere chi non ne abbia commessi. Ma il problema non si risolve isolando i ‘violenti’: coi violenti si deve entrare in rapporto, per quanto difficile possa apparire, e stabilire un confronto che faccia crescere consapevolezza e discernimento di tutti e di ciascuno, perché questo è l’unico modo di agire ‘non violento’ per una società che voglia essere inclusiva. Dunque, repressione dei reati non delle persone o dei gruppi. Con le persone e con i gruppi si deve dialogare: il che non significa trovare un accordo, spesso impossibile; ma sempre arrivare a una distinzione fra ragioni e azioni. Salendo di un livello, la stessa attenzione alla complessità è necessaria anche nell’analisi politica ed economica. Il ‘disagio’ -per usare un eufemismo- dei nostri giovani (e anche dei meno giovani) è conseguente alle decisioni di politica economica dei governi degli ultimi venti anni, e alla dinamica politica interna alla nostra società. Pur consapevole di usare terminologie desuete, credo di poter dire che il nostro tempo è caratterizzato da una cruda lotta di classe, come diceva il vecchio Marx, se è vero –come è vero- che sempre di più pochi ricchi possiedono ricchezze sempre maggiori, mentre larghe fasce di popolazione –ormai comprendenti anche quello che un tempo era il ‘ceto medio’- scivolano progressivamente verso la povertà. La crisi dell’economia della finanza non è la causa di questa situazione, ma è l’effetto di scelte ‘di classe’ fatte già negli ultimi decenni del XX secolo da chi allora governava l’economia mondiale –gli Stati Uniti, per capirsi-, e prestamente seguite nel mondo occidentale per quanto in ciascun paese era possibile. Prima il progressivo spostamento del reddito dai lavoratori alle imprese, e poi il progressivo spostamento degli investimenti dall’impresa alla finanza hanno prodotto l’impoverimento della nostra economia come delle altre più deboli, ed essa si è trovata disarmata di fronte al pesante contraccolpo della crisi finanziaria mondiale. Ma bisogna dire che anche nelle difficoltà sopravvenute si è scelto di scaricare sulle fasce di popolazione più deboli i costi della crisi finanziaria, pur di non toccare gli interessi dei ceti più ricchi, seguendo la teoria assai discutibile secondo la quale se i ricchi prosperano anche i poveri staranno meglio. Così, la famosa lettera della BCE (Trichet-Draghi), che dettava al governo italiano i provvedimenti da assumere con urgenza, rappresenta la cura pesantissima ma nell’immediato forse ineluttabile per un’economia lasciata ad ammalarsi senza cura per troppo tempo –e questo, a mio avviso, spiega anche come non ci sia contraddizione fra la lettera e la comprensione di Draghi per la protesta degli ‘Indignati’-. La vita privata del Premier riguarda la possibilità o l’opportunità di veder affidata la rappresentanza di una Nazione a una persona che ha evidenti problemi di equilibrio, ma non costituisce colpa se non configura reati. Colpa invece, e grave, è la sua manifesta incapacità di affrontare i problemi nel governo dello Stato, e più grave ancora è la difesa dei privilegi della propria classe e l’abbandono degli altri al proprio destino e alla propria indignazione. Poi ci sono gli incidenti di Roma e quelli annunciati. Ma non sono i disordini a creare i problemi, sono i problemi a creare i disordini.


scontri a roma black block

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