Caro Direttore, la lettera di Yuri Tiberto con le riflessioni intorno a “Mario” è un messaggio di straordinaria pulizia e bellezza. Sono grato a lui e al tuo giornale se nella nostra comunità isolana troverà spazio una nuova attenzione a un “valore aggiunto” così diverso da quelli ordinari per i quali senza difficoltà ormai paghiamo un costo (l’IVA, appunto), ma certo più “prezioso” e quindi ovviamente più “caro”, in tutti i sensi. Non voglio sottrarre neppure un “apice” alla lucidità di Tiberto. Ma non me ne vorrà se mi riferirò alle cose da lui dette, per “aprire” il ragionamento, a inizio di un nuovo anno scolastico. “Tutti noi siamo in fondo ‘diversi’ gli uni dagli altri”. Sembra un’ovvietà, ma è invece un caposaldo della natura e delle società: e prendere atto delle diversità, oltre che comprendere la realtà che ci circonda, significa anche andare in controtendenza all’omologazione delle ‘mode’, al conformismo dei comportamenti e dei desideri, alla perdita delle originalità personali; significa muoversi nella direzione della riconquista della stima di sé (autostima, come si dice), della consapevolezza del proprio valore di individui in mezzo agli altri, del protagonismo di ognuno nella vita di tutti. Significa affermare il proprio valore di individuo mentre si “riconosce” il valore di ogni altro individuo, mai dimenticando che il concetto di ‘individuo’ presuppone appunto gli altri, e i contesti, e il mondo intero. Ogni aula di scuola contiene individui in formazione, tutti diversi gli uni dagli altri: tutti valori, e valori aggiunti, nessuno dei quali può essere ignorato né sprecato, avendo ugualmente rispetto per la sua individualità e per i contesti, cioè anche per tutti noi intorno. Il mestiere della scuola, della famiglia, della società è di far emergere a compiutezza ogni individuo in formazione, perché possa spendere per sé e la propria felicità il proprio valore, e perché quel valore diventi patrimonio comune. Se questo non avviene, quel valore si trasforma in spesa per tutti e, nel caso di giovani, in spesa che dura decenni: spesa di risorse preziose e frustrazione di felicità personale e contestuale. Questo si è sempre inteso quando si diceva che la scuola ha il compito di “promuovere”: che non può significare ‘passare alla classe successiva’ se questo passaggio non è anche “riconoscere” come percorso un nuovo tratto di valore aggiunto spendibile in felicità personale da ‘comunicare’ a tutti. Questo è la scuola: praticare e insegnare l’attenzione al particolare, scoprire in ogni giovane individuo quel “respiro di dio” che il meraviglioso mito biblico pone all’origine dell’umanità; scoprirlo anche quando è nascosto, dove è nascosto, come facevano i cercatori con la pagliuzza d’oro nell’acqua del torrente, sapendo che ce n’è comunque una in ognuno. Per questo è ignobile che i cercatori di tesori nel fiume dei giovani scolari debbano veder disconosciuta la nobiltà del loro impegno, vederla svilita, maltrattata, umiliata, in un mondo che non crede nello sviluppo dell’“umanità” individuale e collettiva, ma assume ogni individuo nella dimensione attuale (cioè per come è e non per come può essere), e gli dà un prezzo “di mercato”. E’ scomparso proprio ieri un uomo che ‘era partito male’, anzi malissimo. La famiglia d’adozione (e nel suo caso era già una fortuna averla trovata) non aveva incontrato più che tanto la sua gratitudine; la scuola non lo aveva attratto, e aveva abbandonato l’università per disinteresse; era passato attraverso la rivoluzione giovanile nelle sue forme più colorite, aveva incontrato le droghe, lo stordimento; si avviava verso una vita senza orizzonti. Lo si sarebbe definito un giovane difficile, ormai irrecuperabile. E invece quel giovane teneva ben stretto il suo “respiro di dio”, e insperabilmente è riuscito a farlo diventare a sua volta creazione e creazione geniale. Sempre inquieto, sempre dirompente, sempre al galoppo fra gloria e delusioni, è morto giovane (55 anni) ma da tutti “riconosciuto” come uno che è riuscito a cambiare, con la sua, la vita di tutti. Steve Jobs, il creatore del mondo della “Mela”, della Apple, degli Ipod, degli Iphone, degli Ipad, e prima ancora di quelle meravigliose macchine che sono i computer Macintosh, se ne è morto rimpianto e celebrato, e anche ricco e creatore di ricchezza (con luci e ombre, come tutti). Ha avuto la forza e la ventura di riuscire a farsi da sé, seguendo il suo principio guida: “Essere affamati e essere folli”. Ma la scuola lo aveva perduto, la comunità ne aveva avuto paura, la società lo aveva rifiutato perché era “diverso”. Il mondo non è pieno di Jobs, o di Gates, o di Einstein, come non è pieno di Gandhi, di Lorenzo Milani, di Francesco d’Assisi. Ma di persone capaci di sviluppare nella propria “diversità” una normale creatività e insieme una normale felicità da spandere intorno a sé per la felicità di tutti, di queste persone il mondo è invece pieno –io credo-; e in ogni caso nessuna di queste può essere perduta perché non se ne è riconosciuto il “valore aggiunto” della “diversità”.
scuola sordi non udenti