E’ buona regola -anzi premessa indispensabile- che una legge specie se riguarda normative complesse con implicazioni anche costituzionali e comunque di carattere generale nei rapporti istituzionali, metta bene in chiaro le motivazioni. Ciò vale ancor più se tra le ragioni della legge vi è quella –come si dice -di rimuovere aspetti che l’esperienza consiglia di rivedere e non per stravolgerne l’impianto di fondo. Ho recentemente ricordato come in Francia si è avviata una riflessione sul ruolo dei parchi regionali dopo 45 anni ( più del doppio della legge 394) che potrebbe anche sboccare –ma non è detto- in modifiche normative che in ogni caso non rimetteranno in discussione le finalità generali della legge attualmente in vigore, come si è voluto subito precisare. Non si tratta quindi di un richiamo meramente formale e tanto meno pretestuoso, ma assolutamente sostanziale perché i timori che nel passato hanno sempre frenato le sollecitazioni a modificare la legge anche quando era ancora in fasce, aveva una ragione precisa e fondata; la si voleva modificare non per farla funzionare meglio e con meno intralci, ma rimetterne in discussione proprio le finalità generali che i francesi riconfermano invece dopo 45 anni. Nessuno può fare quindi il furbo su quel periodo, quasi che le resistenze e i timori di allora fossero infondati e ingiustificati. Furono sacrosanti e doverosi. Quindi la materia del contendere oggi noi è se si può o no modificare la legge 394, ma come lo si vuol fare e per cosa. Ecco perché le motivazioni sono preliminari e indispensabili e non permettono di ridurre un testo semplicemente ad un insieme di articoli raffazzonati, magari da emendare poi per aggiustarli alla meglio. Chi legge la 394 -ma anche altre importantissime leggi a carattere ambientale quali la 979 (la cosiddetta legge sul mare ) e la legge la 183 sul suolo, le finalità le ha chiare fin dai primissimi articoli. E quella sul mare -è bene ricordarlo- quando fu approvata non era neppure parente della prima versione varata dalla Camera. Le finalità di quelle leggi che relazioni ampie e approfondite, accompagnate peraltro da una notevole mole di documenti di sostegno, evidenziavano, ad esempio, il rapporto con il contesto internazionale e europeo oltre che ovviamente nazionale. Non credo che queste osservazioni -persino scontate- possano essere attribuite a qualche nostalgia d’altri tempi che oggi non avrebbe più senso. Ne ha eccome. E ne ha ancor più se non si dimentica che questo testo di cui si sta parlando prese le mosse dalle aree protette marine, ossia il comparto più malmesso delle nostre aree protette, che anche normative e disposizioni comunitarie da tempo ci impongono di superare con una gestione finalmente conforme alle finalità della legge 394 e anche della legge 426. Si profilava e si profila il classico caso di una legge importante e valida alla prova dei fatti sul piano generale, ma che per questo comparto non aveva dato i risultati sperati e che ci aspettavamo. Problema niente affatto nuovo, che tuttavia in questo caso prima di riguardare la legge aveva e ha a che fare con la politica del ministero, che non per impedimenti derivanti dalla legge, ma solo e soltanto per scelte che non hanno mai visto di buon occhio quella gestione integrata delle coste e del mare che non soltanto in Francia è perseguito con coerenza, ma non da noi. Da noi infatti e fin dalle prime battute della legge quadro, il ministero ha voluto gestirsi come se fosse un nuovo ministero della Marina mercantile, per conto suo le aree protette marine, non soltanto tagliando fuori i parchi regionali, ma con Consulte e di fatto commissari che da Roma facevano come gli pareva e gli pare. La stessa musica per intenderci della gestione della santuario dei cetacei. Insomma non erano poche le ragioni che consigliavano –anzi imponevano- che il senato se voleva davvero aiutare il superamento di questa insostenibile contraddizione che ha fatto più danni della grandine, presentasse un testo e una adeguata ‘motivazione’ da cui risultassero chiare le finalità della legge e soprattutto a cosa miravano le molte modifiche alla 394; 18 articoli su 38, quasi la metà. Se miravano a renderla più efficace nel perseguimento delle sue finalità generali nel comparto delle aree protette marine o al contrario per legittimare la gestione politico-istituzionale rovinosa del ministero. Che dal testo originario smilzo smilzo, non accompagnato neppure da una doverosa e dignitosa relazione esplicativa, ma solo da strane consultazioni che non hanno riguardato e coinvolto i titolari della legge; regioni ed enti locali (in omaggio evidentemente al federalismo) si sia poi –anche qui senza uno straccio di motivazione- passati anche alle altre aree protette, è la riprova e la conferma che gatta ci covava e ci cova. E ci covava alla grande anche se in troppi non hanno visto niente o fatto finta di non vedere. Possibile parlare di rilancio delle aree protette marine e come prima cosa scrivere nella legge che i parchi regionali sono esclusi da qualsiasi ruolo sui ‘tratti di mare’ come stabilisce invece la 394 sia ‘normale’ ? Certo è normale per chi ritiene che nel previsto Comitato delle aree protette ci stanno solo i ministeri, il CFS e le capitanerie di porto e non le regioni e gli enti locali. O che le famose Consulte di fatto restano in vita sotto mentite spoglie, sebbene robe del genere non siano previste per nessun’altra area protetta. Si è persino inventato per gestire le aree protette marine –incluse quelle sottratte alle regioni e agli enti locali- un consorzio obbligatorio di cui almeno il 70% dei componenti devono rappresentare gli enti locali. Ma i consorzi non li hanno sbaraccati da poco con il milleproroghe tanto è vero che lombardi e emiliani devono provvedere alla svelta a gestire i loro parchi in altro modo? Se dunque già l’avvio lasciava intendere chiaramente che quello che premeva era legittimare la pessima e abusiva gestione ministeriale, togliendo di mezzo del tutto regioni ed enti locali, il resto ha fatto appunto il resto. Si potrebbero citare vari aspetti a dimostrazione che da questo testo le aree protette marine risultano sempre più distinte e diverse da tutte altre. Come può spiegarsi, ad esempio, che per le riserve naturali si stabiliscano dei criteri e dei connotati a partire dalle dimensioni che non si attagliano però a quelle marine. Certo, l’ambiente marino- costiero ha le sue specificità ma quello montano, collinare, fluviale, lacustre non le ha? E perché queste possono rientrare e giocare nello stesso girone e quelle marine no? In questi giorni le regioni si sono riunite a Copenaghen per discutere del mediterraneo e le sue politiche, ma se passasse questa legge quelle italiane non potrebbero considerare un problema mediterraneo le aree protette marine di cui si chiede a tutti i paesi del mondo di incrementare ed estendere. Possibile che il nostro legislatore possa considerare ‘normale’ che regioni come la Liguria, la Toscana, la Sardegna, la Sicilia la Puglia etc su questo tema possano al massimo essere ‘sentite’ e solo per poche cose? Possibile che le sfugga, specie in un momento come questo di gravissima crisi istituzionale, per cui da più parti si parla ormai di federalismo morto, che la legge che ha confezionato di ‘nascosto’ alle istituzioni contitolari è provocatoria e grottesca? E siccome i guai non vengono mai soli si vedano gli articoli riguardanti le finalità, ossia ciò a cui deve puntare il piano del parco. E’ continuo ( ma non certo nuovo) l’assillo di mettere in chiaro che i parchi devono puntare su iniziative di sviluppo economico, accreditando così la tesi fasulla e vecchia che la tutela blocca lo sviluppo, lo penalizza etc. Eppure dovrebbe risultare chiaro che una gestione attiva delle politiche di tutela implica necessariamente che si sostengano e si aiutino politiche,ad esempio, agricole o turistiche di un certo tipo. La legge invece ipotizza interventi di ‘riparazione’ ambientale da far pagare al privato che danni invece non deve semplicemente farne, e il parco e il piano a questo deve puntare perchè questo è il suo ruolo e la sua finalità. Non meno strani sono gli articoli sui parchi regionali. A parte la pretesa di dire alle regioni come e dove devono fare dei loro parchi, senza neppure consultarle. Ma si rispolvera persino per i parchi regionali una vecchissima idea poi giustamente abbandonata, che i parchi regionali dovrebbero intervenire soprattutto sui demani e patrimoni forestali regionali, provinciali etc. Ho subito pensato che il parco di San Rossore per i nostri legislatori attuali manco sarebbe nato, visto si partì da una bella e grande pineta che più privata non poteva essere e che fu così salvata da un flagello speculativo. Ora a fronte di un testo del genere che nessun emendamento potrà cambiare nella sostanza e che richiede un ripensamento generale di fondo e non in sedi gestite alla chetichella e nottetempo, compiacersi del fatto che importante è che comunque il parlamento se ne occupi, dovrebbe farci apprezzare allora anche i tagli e le altre pessime cose approvate dal parlamento negli ultimi tempi. Questo testo -è inutile girarci intorno- è una vera e propria mazzata alla legge 394 ed una patente immeritata ad un ministero responsabile di politiche prima ancora che sbagliate inesistenti. A fronte di questa situazione che segnala e al tempo stesso è dovuta alla crisi profonda del governo del territorio –beni comuni in testa- come abbiamo cercato di analizzare nel libro ‘Per il rilancio dei parchi’ del Gruppo di San Rossore, non basta certo la denuncia o la critica delle responsabilità che naturalmente ci sono. Responsabilità -va subito aggiunto- che riguarda tutti anche se non nella stessa misura, visto che la mania abrogazionista ora di questo ora di quel soggetto istituzionale -parchi compresi- rischia –come è stato detto di trasformare le istituzioni specie locali in ‘esattori’ più che protagonisti di governo. E non sorprende quindi che il testo della legge del Senato configuri anche il parco per molti versi più simile ad un ‘esattore’ che ad un pianificatore. Da qui bisogna ripartire se vogliamo evitare il tracollo dei parchi coinvolgendo tutti senza trucchi e senza inganni. Gli appuntamenti fissati da Federparchi possono costituire un valido avvio di questa svolta.
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