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A Sciambere del Domolito vel Caprile

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 21 settembre 2011

Lo scrittore Carlo Laurenzi, la cui eleganza stilistica mi ha sempre affascinato, venticinque anni fa andava affermando che “certe locuzioni elbane, ammesso che restino vive, sono mirabili”. Tanto mirabili e così straordinarie – aggiungerei – che il nostro lessico fra il 1960 e il 1970 attrasse l’attenzione di linguisti e dialettologi di rango come Riccardo Ambrosini, Manlio Cortelazzo, Marilisa Diodati Caccavelli. Oggi, con un filo di nostalgia, si deve registrare che l’ uso di parecchi termini insulari è molto più limitato di un tempo e che essi stanno ‘sciabatticando’ a restare a galla. Ma è anche vero che monta una ‘gàglia’ sovrumana quando si osserva che almeno qualcuno fra i più stratificati, ossia fra quelli che hanno attraversato e qualificato vari secoli della nostra storia, è riuscito ad affondare la corazzata dei neologismi. I duecentocinquanta e passa recinti granitici, tipici del Monte Capanne ma presenti, anche se con poche unità, pure nel resto dell’isola, una volta venivano chiamati caprili, termine intuitivo e comprensibile da contadini e cacciatori, storici e studiosi, autoctoni e non. Il vocabolo vanta un blasone piuttosto articolato: lo troviamo, con il significato di stalla per capre e come derivato da caper (capro, o becco che dir si voglia), già nella lingua latina e poi nella lingua volgare medievale (XIII secolo) e su su fino a noi, con l’accezione semantica inalterata di ricovero per ovicaprini. Ne fanno menzione tutti i vocabolari di italiano, dal ‘Nuovissimo Melzi’, al seguitissimo ‘Devoto-Oli’, all’ottimo ‘Tesoro della Lingua Italiana delle Origini’. In modo simile, esso è registrato in tutti i dizionari di latino, dal pratico ‘Campanini-Carboni’ al più elaborato ‘Georges-Calonghi’. Poi, un bel giorno, intellettuali d’importazione decisero che il vocabolo caprile, nonostante la sua storia trimillenaria (ne ho scavato uno del 1000 a. C. presso la Madonna del Monte), all’Elba non andava più bene e vollero sostituirlo con ‘domolito’ (letteralmente: ‘casa di pietra’), in apparenza più cólto e più ‘in’ essendo formato dalla parola latina domus e dalla parola greca líthos. Oramai è passato un decennio dal lancio del nuovo lemma, ma mi pare che il tentativo di sostituzione sia fallito. Chiunque può verificare che il sostantivo è ignoto ai più consultati vocabolari, compresi il Treccani sui neologismi e la ‘Lessicografia’ della Crusca. Che ‘domolito’ sia parcamente utilizzato, e sostanzialmente rifiutato, non deve meravigliare, perché ‘caprile’, sostantivo ‘aggredito’, è dotato di una qualificazione linguistica largamente più incisiva rispetto al sostantivo ‘aggressore’. Che è troppo generico (esistono mille tipologie di case di pietra) ed è connotato da un’immediatezza percettiva pressoché nulla. Me lo fece notare, con una battuta calzante, un amico elbano al quale indicavo un caprile chiamandolo provocatoriamente ‘domolito’. “Dòmo…ché?” - fu la replica spontanea - “ma vàffa … ’n dòmo!”. Michelangelo Zecchini


piane al canale 3 caprile

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