Salvatore Settis sostiene nel suo libro “Paesaggio, costituzione, cemento” che il paesaggio è un bene comune, nel senso che appartiene a tutti noi, i cittadini. Per questo motivo le sorti del paesaggio non possono essere tolti alla sovranità collettiva e popolare per essere assegnati alla disponibilità settoriale (e interessata) di alcune oligarchie, gruppi di potere, comitati d’affari. Le sorti del paesaggio, però, non possono neanche essere affidate del tutto ad una generazione invece che ad un’altra. La storia serve per ricostruire i fatti, possibilmente per come sono andati, e le cose avvenute non si possono cambiare. Se l’industrializzazione più o meno forzata di alcune aree del nostro paese sia stata positiva (Italia settentrionale, Toscana) o negativa (Italia meridionale), è la storia a dirlo. Quello che dobbiamo/avremmo dovuto imparare per il futuro è il non ripetere gli stessi errori. Gli indiani d’America pensavano di avere avuto la terra in prestito dai loro padri per poi tramandarla ai loro figli. L’homo occidentalis, che pure ha alle spalle la tradizione del diritto romano, appare lontano da questa consapevolezza. Forse non è neppure un caso che proprio negli Stati Uniti, all’Università di Stanford, un gruppo di giuristi stia studiando il problema dei diritti delle generazioni future. Quello che ho detto con il discutibile e frettoloso progetto del nuovo waterfront di Portoferraio c’entra parecchio. La generazione alla quale appartengo, nel bene e nel male, si sta arrogando il diritto di decidere che cosa fare della rada di Portoferraio. Il progetto è pessimo, lo sanno e lo dicono in tanti, è impattante da un lato e pieno di lacune dall’altra. E’ vero che in passato altre generazioni hanno deciso che cosa fare della rada: tonnare, saline, siderurgia. Perché oggi il Sindaco e la sua generazione dovrebbero vedersi privati del medesimo diritto? Perché impedire loro di ristrutturare la rada? Risposta: perché i tempi sono cambiati e lo sviluppo non può più essere l’unico metro e l’unico criterio di valutazione. Non si può più dire: devo fare questo per potere realizzare maggiori profitti (IO! E gli altri?); devo fare questo per aprire 50 nuovi posti di lavoro (perdendone, magari, 200 in un altro settore vitale); oppure, semplicemente, massificando e spersonalizzando i luoghi, inventando una sorta di geografia improvvisata, in cui Portoferraio-San Vincenzo-Punta Ala-Scarlino sono un unico posto solo sparso un po’ qui e un po’ là. L’urbanistica, dicono gli urbanisti veri, è cosa troppo seria perché possano decidere soltanto gli urbanisti. Servono competenze diverse: geografia, agronomia, diritto, geologia, igiene, economia, ecologia, persino archeologia. Perché non si può toccare un luogo per modificarlo senza sapere come è fatto, senza sapere quali vicende, naturali o umane, lo hanno portato fino a noi in quella forma invece che in un’altra. La conoscenza porta sempre con sé un valore aggiunto e questo crea un arricchimento esponenziale. Mia nonna avrebbe curato un bernoccolo con la “chiara d’ovo”, mia madre con una pomata chimica, mia moglie lo fa oggi con il gel all’arnica. A volte il progresso cammina attraverso la riscoperta di invenzioni del passato. Il piano del waterfront è pericoloso e lacunoso. E’ pericoloso perché si interviene su un comprensorio delicato, già oggetto di pesanti trasformazioni in passato, rischiando di conseguire due o tre risultati negativi. Da un lato tutta la zona compresa fra i cantieri (ex altoforno) e l’Hotel Airone (saline) è stata oggetto di pesanti modificazioni: basti pensare alle collinette della loppa e ai vecchi bacini del sale, colmati residui industriali (quali?) e utilizzati per lo smaltimento delle carcasse di animali. Queste cose le sanno tutti ma non esistono resoconti puntuali. San Giovanni, a sua volta destinato a diventare porto turistico (a che pro? Svuotare la darsena?) perderebbe a quel punto le sue proprie caratteristiche, la sua propria originalità. E quale è il modello urbanistico che dovrebbe ispirare questo progetto, anche dal punto di vista gestionale? La zona della loppa così come è attualmente? Il fatto straordinario è che tutta la rada di Portoferraio dovrebbe essere riconcepita, ripensata e riprogettata, ma secondo una filosofia e una metodologia del tutto diverse. Bisogna partire non dai nuovi volumi da aggiungere in terra e in mare nelle aree periferiche ma dal recupero del centro storico e delle sue funzioni. Diversamente, si otterrà il balordo risultato di una new-town di berlusconiana ispirazione, che nasce e cresce succhiando sangue al morente centro storico. I ricchi andranno a stare nelle nuove case costruite in riva al magnifico golfo artificiale e avranno posto macchina e posto barca, mentre i poveri occuperanno una Portoferraio sempre più fatiscente. Ed ecco, infine, le lacune. Sullo sfondo resteranno i problemi di sempre: l’acqua che non c’è; i rifiuti che abbondano, invece, e vengono raccolti malamente e a tariffe esorbitanti; le fognature inefficienti. Questi tre (dis)servizi bastano a indicare le vere priorità a cui le amministrazioni dovrebbero dedicare tempo e attenzioni (ometto, per carità di patria, sanità, scuole e trasporti). Perché è il livello di questi tre (dis)servizi che stabilisce se un cittadino è di serie A o di serie B, con tanti saluti alla continuità territoriale). Anzi. E’ la qualità di questi servizi che distingue il cittadino dal suddito. Un’ultima osservazione va fatta. L’Elba è un paesaggio unico non solo perché non è replicabile ma anche perché è finito in sé, nella sua omogeneità, malgrado le molte differenze fra un luogo e l’altro. La rada di Portoferraio non è un luogo solo di Portoferraio ma dell’Elba in generale. Il porto di Portoferraio serve e viene usato da tutti gli Elbani, è indispensabile per la vita dell’intera isola. Per questo motivo dovrebbero essere ripartiti fra tutti sia l’onore di prendere decisioni sia l’onere (i soldi) di garantirne il funzionamento. Ciò significa, è quasi superfluo dirlo, che qualunque decisione concerna la ristrutturazione della rada di Portoferraio dovrebbe essere rinviata all’indomani della costituzione del Comune unico dell’Isola d’Elba.
san giovanni panorama