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Controcopertina: La Casta, la complessità e le semplificazioni

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 26 luglio 2011

Non si possono affrontare questioni complesse con semplificazioni, consolanti o gratificanti ma assolutamente incapaci di comprendere la realtà dei problemi. Esempio clamoroso è la metafora della “casta”, cui è affidata a un tempo la riscossa dei deboli contro i potenti, e la rivincita degli impotenti nei confronti dei forti. La “casta” sarebbe l’insieme di quelli che contano, di coloro che abitano le Istituzioni e si cullano nei privilegi che esse assicurano; dall’altra parte il ‘popolo’ delle persone ‘normali’, che quei privilegi pagano. Non possono esserci dubbi su come schierarsi. Ma è, appunto, una semplificazione insulsa. I COSTI DELLA ‘POLITICA’. E’ un’idea semplice semplice e facilmente popolare: gli eletti del popolo costano moltissimo perché ‘guadagnano’ troppo. Perché troppo? Il loro ‘stipendio’ è commisurato all’importanza e alla delicatezza della funzione, e deve renderli impermeabili alla corruzione; sono alti dirigenti dello Stato, indispensabili funzioni della Comunità, responsabili della nostra pace e della nostra felicità: più importante e delicato di così cos’altro ci può essere? Ma, si può ben obiettare, spesso sono corrotti, spesso si rendono responsabili di reati di concussione, o favoreggiamento, o peculato: è vero, si tratta di reati odiosi che devono essere perseguiti con estrema severità proprio perché commessi senza neppure l’attenuante psicologica del bisogno, ma non si eliminano certo con la decurtazione degli stipendi. Anzi! I parlamentari sono troppi, si dice. Può essere, ma in base a quale ragionamento? Perché è evidente che più sono meno contano, quindi sono più controllabili. E poi si assicura una rappresentanza migliore di tutte le componenti del Popolo sovrano. Negli Stati Uniti, si dice ancora, per una popolazione molto maggiore i rappresentanti eletti sono molti meno: e infatti hanno un potere personale enorme, che si riflette soprattutto negli Stati che li hanno eletti, fino a stabilire delle vere e proprie dinastie familiari che controllano per generazioni il potere politico. Del resto, non vorrei imparare molto sulla Democrazia dagli Stati Uniti. Comunque, se ‘gli eletti’ sono troppi, cerchiamo di capire su quale base si fonda la valutazione, e avremo una ponderata nuova valutazione: ma il criterio non può essere il costo eccessivo. Nessuno si lamenta –mi pare, e un po’ me ne dolgo- dei redditi di un cardiochirurgo o di un notaio, in chiaro e in nero. Eppure la loro importante funzione non è certo superiore a quella di un pubblico amministratore. Per altro verso, anche se non ho fatto calcoli in dettaglio, temo che l’insieme del mondo del football italiano –calciatori e relativi apparati organizzativi- costi molto di più della ‘Casta’, e sono tutti costi pagati in qualche modo dai cittadini a vario titolo senza che nessuno se ne lamenti. Non si possono confondere sprechi con disfunzioni: se la macchina dello Stato –dalla politica all’amministrazione- è sovradimensionata, ben venga una razionalizzazione ponderata; se è inetta e pelandrona e corrotta e quant’altro, intervengano la dirigenza e la magistratura. I PRIVILEGI DELLA CASTA Ma, si dice, proprio le vicende degli ultimi giorni ci raccontano di una ‘solidarietà’ della casta che scatta ogni volta che un suo membro è sottoposto a un procedimento volto ad accertarne eventuali responsabilità penali: l’arresto concesso dalla Camera dei Deputati di un parlamentare è stato visto da una parte come uno strappo a una consuetudine di immunità garantita con rarissime eccezioni, dall’altra parte come un atto dovuto in nome dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Per di più, non ci si sottrae all’impressione (confermata dalle parole del Presidente del Consiglio) che il deputato Papa sia stato comunque oggetto di ‘attenzioni’ di difesa o di accusa che riguardavano in realtà il capo del suo partito. Anche in questo caso il tutto è più complicato di come appare a una lettura semplificata. Che i membri del Parlamento abbiano uno ‘status’ del tutto eccezionale rispetto agli altri cittadini è evidente, e riconosciuto peraltro proprio dall’entità delle loro retribuzioni. Che in questa eccezionalità sia compresa anche la cosiddetta ‘immunità’ parlamentare, nella forma attenuata stabilita dalla riforma dell’art. 68 Costituzione, è –a mio modo di vedere- assolutamente provvidenziale proprio per mantenere l’equilibrio tra i poteri dello Stato che altrimenti, per assurdo, consentirebbe a qualunque Pubblico Ministero in buona o in mala fede di ‘far fuori’ –sia pure per tempo breve ma con conseguenza enorme sull’immagine personale- un parlamentare, magari che gli è per motivi diversi sgradito; è quanto sostiene Papa, ma soprattutto è già successo con tragica frequenza durante il Fascismo, quando il PM era soggetto al Governo, come qualcuno infaustamente auspica ancora oggi. La Costituzione non esclude, però, che un membro del Parlamento possa essere sottoposto a giudizio, e anche intercettato, perquisito, arrestato, trattenuto in custodia cautelare prima del processo: richiede solo particolari procedure e particolarissime cautele. Di questo doveva occuparsi la Camera dei Deputati nei giorni scorsi, e ci auguriamo l’abbia fatto al meglio; chi non l’ha fatto ne renderà conto alla propria coscienza, che è pur sempre un giudice anche se non pubblico. Di un caso simile doveva occuparsi anche il Senato della Repubblica, e ne è venuta fuori una soluzione pasticciata, e per alcuni versi paradossale: il senatore Tedesco aveva chiesto che il Senato votasse per i suoi arresti domiciliari, ma questi non sono stati concessi dall’Aula. Anche qui ci auguriamo che tutti abbiano agito secondo coscienza. Ma chi è rimasto deluso dall’esito del voto subito ha invocato le dimissioni del Senatore graziato, chiedendogli d’esser coerente con la richiesta da lui appoggiata della concessione dell’arresto. Anche qui, semplificazione. Il parlamentare pur se sottoposto a custodia cautelare non perde –e lo ha ricordato il deputato Papa- le proprie prerogative, almeno quelle che può esercitare anche dal luogo di restrizione; per paradosso, se il senatore Tedesco si dimettesse le perderebbe, e verrebbe arrestato e insieme cesserebbe di essere membro del Parlamento, peggio di Papa, arrestato ma sempre parlamentare: insomma, non consentendone l’arresto, il Senato lo avrebbe danneggiato. Come si vede, anche questa è una questione complicata. Mi corre l’obbligo di attestare che non sono mai stato ‘eletto’ in nessuna Pubblica Istituzione; che conosco né Papa né Tedesco; che per quanto ne so non ho motivo di rammaricarmene, e non vorrei prendere neppure un caffè con loro. E questo, per la verità, vale anche per moltissimi loro colleghi variamente schierati, fra i quali forse anche qualcuno che avrò contribuito a eleggere. Ma è male di poco, perché Papa e Tedesco (e gli altri) non sanno neanche che esisto, e non hanno occasione di offendersi. Però, prima di lamentarci degli amministratori da noi eletti nei diversi ruoli della politica, sarebbe bene che riflettessimo sul fatto che se sono dove sono, padroni delle nostre fortune (in tutti i sensi), appunto sono stati eletti da noi, e noi abbiamo consentito che fossero presentati come candidati, e noi abbiamo tollerato che fossero eletti con una legge elettorale demenziale. Perché, ancora una volta, vale il principio spesso rammentato: “Senza servi padroni non ce n’è”.


Totaro media

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