La vicenda delle province e del tanto chiacchierato voto alla Camera un merito ce l’ha, ed è quello di avere finalmente riportato in primo piano aspetti rimasti finora sullo sfondo o del tutto ignorati. Intendiamoci, non poche reazioni di autorevoli esponenti politici anche del centro sinistra non brillano e non aiutano molto a dare risposte serie e non demagogiche. Quasi si fosse finalmente scoperto dove si annidano i famigerati centri di poteri di una casta insaziabile, superstipendiata e spendacciona, come la pipa che stavamo cercando e l’avevamo in bocca; le province. Il tutto accompagnato da dichiarazioni tipo; servono le unioni comunali, si potrebbe pensare anche ad una elezione non diretta, dimenticando o ignorando che queste ipotesi e esigenze che, abbiano o no qualche validità, non hanno certo il pregio della novità e in qualche caso sono anche già state sperimentate. Il punto, infatti, che stenta ancora ad emergere è che non stiamo parlando solo di gestione su cui si dicono anche cose strambe come quella che le province gestirebbero solo le strade; questo era vero negli anni 70, ma non lo è più da tempo. In ogni caso anche gli esempi che ricorrono più spesso sono i consorzi, gli enti e così via che gestiscono generalmente specifici aspetti settoriali dalla bonifica agli ATO e che potrebbero essere sciolti per affidare i loro compiti alle province o alle unioni dei comuni. Ma da quando sono state istituite le regioni, rinnovate le leggi degli enti locali, diversamente ripartite le competenze su una diversa e nuova scala istituzionale statale, regionale e locale e spesso in rapporto con le nuove competenze comunitarie, è il governo complessivo del territorio che ha registrato la maggiori innovazioni prima con la legge 183 sul suolo e poi dal 91 la legge quadro sui parchi preceduta peraltro da importanti e innovative leggi regionali. E’ anche -se non soprattutto- in conseguenza di questo nuovo ingresso istituzionale nella gestione del territorio e dell’ambiente che anche gli enti locali non hanno dovuto occuparsi più solo di strade o di manicomi. Le autorità di bacino con i loro piani idrogeologici e i parchi ugualmente con i loro piani non urbanistici ma ambientali, aprono un nuovo capitolo anche per gli enti locali, oltre che per le regioni e lo stato che devono agire su dimensioni e scale ormai non più soltanto intercomunali o interprovinciali ma anche interregionali e internazionali. Colpisce non poco perciò, che questo improvviso riaccendersi di polemiche sull’area vasta ignori che quelle dimensioni ineludibili dei bacini come dei parchi, non coincidono quasi mai con i confini amministrativi persino statali; vedi Santuario dei cetacei, vedi Convenzione alpina. Lo stesso si può dire per il paesaggio che il nuovo codice è tornato a separare da quella connessione e integrazione sancita dalla Convenzione europea, ma anche da quelle leggi prima richiamate. Sarà un caso, ma in queste roventi polemiche dopo il voto della Camera, che sembra abbia fatto scoprire a più d’uno che avevamo deciso da tempo–ma non è vero- di abrogare le province, nessuno di quelli che straparlano di strade non citino mai i piano territoriale di coordinamento, ossia strumenti preposti a quel governo del territorio di cui si sono perse le tracce e non solo a Pontida. Che l’area vasta abbia così perso smalto e in troppe situazioni abbia lasciato il passo a dimensioni assai meno vaste, è dovuto anche al fatto che quelle nuove scale di governo del territorio ricordate, sono state penalizzate, azzoppate, modificate senza che nessuno o quasi –anche di quelli che oggi si sbracciano sulle province- battessero ciglio, a cominciare dal parlamento. Che il bacino del Magra sia unico ma riguardi due regioni, Toscana e Liguria e che due dei tre parchi nazionali –sempre in Toscana- siano interregionali ossia tosco-emiliani, che Liguria e Toscana con la Sardegna siano nel Santuario dei cetacei con la Francia e il principato di Monaco, non pone qualche problema anche alle aggregazioni intercomunali o a quelle aggregazioni di più province di cui si sta parlando senza per la verità molto coinvolgimento nonostante la nostra legge regionale sulla partecipazione? Prima di votare in consiglio regionale non sarebbe stato preferibile –tanto più che talune questioni hanno dimensione nazionale- coinvolgere più soggetti per evitare quello che teme Marras, e cioè che il tutto serva a poco? Ecco perché il riordino o se si preferisce la riforma delle istituzioni non può essere confinata nel capitolo della lotta alla casta e dei privilegi della politica. Qui è facile fare demagogia, sul resto no perché servono idee serie e non bastano di sicuro le battute sulla rottamazione.
mappa toscana