Che il successo dei referendum risieda in larga misura nella diffusa e accresciuta consapevolezza specialmente tra i giovani che sui beni comuni oggi bisogna cambiare registro e gestione è piuttosto evidente e riconosciuto. Eppure, fino all’ultimo, sui temi ambientali e non solo su quelli sottoposti a referendum, si è agito approvando norme e assumendo posizioni anche nello schieramento più impegnato per raggiungere poi il quorum, non sempre coerenti con gli obbiettivi che ora dovranno essere tempestivamente ed convintamente perseguiti. A cominciare, naturalmente, da quelli riguardanti la gestione dell’acqua che -come la Toscana conferma- hanno bisogno di soluzioni e misure nazionali, ma anche regionali e locali, non semplici. E non semplici perché anche nelle realtà dove si è operato attivamente come in Toscana urgono –si sarebbe detto una volta- riflessioni anche autocritiche. Riflessioni che vanno subito estese al governo dell’ambiente nel suo complesso. Ancora in campagna elettorale si assistito alla difesa e al rilancio più sfrenato e provocatorio dell’abusivismo edilizio del presidente del consiglio. Si sono registrate posizioni autorevoli in campo confindustriale, perché sulle grandi opere pubbliche -quelle insomma a maggiore impatto ambientale- si sgombrasse il campo da controlli, autorizzazioni, pareri che frenano tanto da chiedere la modifica del titolo V della Costituzione (da 10 anni in sonno) perché sia lo stato a decidere per tutti. Posizioni che sono passate quasi sotto silenzio. Al Senato, in commissione ambiente, mentre la Francia sbuffa contro il nostro disimpegno per il santuario dei cetacei e la Prestigiacomo snobba le assessore all’ambiente di Liguria e Toscana che vorrebbero discuterne, i nostri senatori d’amore e d’accordo, stanno sfornando una legge che estromette le regioni da qualsiasi competenza e ruolo sul mare a cominciare dalle aree protette marine. Il tutto mentre in alcune delle nostre aree marine più pregiate si fanno o si progettano trivellazioni. Confindustria ringrazia visto che sarebbe solo lo stato a decidere il da farsi, con tanti saluti al federalismo delle chiacchere. E come non ricordare che neppure alluvioni rovinose e tragiche non sono riuscite a rimettere a punto e a fuoco quella legge sul suolo che non manca solo di risorse e che riguarda uno di quei beni comuni fondamentali non solo per l’ambiente ma per la sicurezza della stessa vita dei cittadini. Certo, i provvedimenti governativi, la latitanza di un ministro dell’ambiente che ai parchi guarda come a realtà da sbolognare in qualche modo ai privati, hanno pesato enormemente. Ricordo che nelle richieste di confindustria si manifestava sorpresa che ‘persino’ i parchi dovessero dire la loro su gallerie, aereoporti e autostrade. Insomma all’insegna del fare si sono compiuti -e si vorrebbero ancora compiere- veri e propri misfatti normativi, istituzionali e ambientali che non hanno risparmiato in qualche misura nessuno. I paladini del fare si sono fatti vivi in più occasioni anche in realtà come quella toscana, dove avevamo già iniziato con Rossi a correggere il tiro e che ora dovremo farlo con maggiore determinazione e speditezza. Ancor più dovremmo farlo sul piano nazionale dove su certi temi la nostra elaborazione e iniziativa sembrano faticare più che per altri aspetti a prendere corpo e consistenza. Quello che forse non emerge ancora con la dovuta chiarezza anche nello schieramento ‘riformista’, è la connessione ambiente, economia, gestione politico-istituzionale. E’ sintomatico che pur disponendo di una legislazione nazionale –sia pure in parte azzoppata da interventi passati peraltro quasi senza colpo ferire- abbiano ripreso vigore le disarticolazioni settoriali che separano anche quei comparti dove al contrario oggi più di ieri sarebbe indispensabile l’integrazione, ossia quella ‘leale collaborazione’ che si è persa per strada e che è invece propugnata dall’unione europea. La natura si separa di nuovo dal paesaggio, la pianificazione dei parchi come dei bacini si è impoverita e indebolita, rilanciando un localismo di scarso respiro e incisività. E anche su questo fronte nessuno è immune da errori, ‘cedimenti’ all’insegna di quel partito del fare che generalmente fa danni e non rende più spedito quel passo a cui fa spesso appello Rossi. Anche in Toscana non è mancato chi ha sbeffeggiato certe posizioni che assegnavano un ruolo al lardo di Colonnata. E qualche legge regionale ha seguito questo indirizzo che oggi urge cambiare e non soltanto e livello sovra comunale. Detto questo, molto sommariamente, va aggiunto che persino nella organizzazione di un partito come il PD questa mancata integrazione è sanzionata da una organizzazione interna che colloca gli ‘ecologisti’ in suo distinto girone. Visto che al successo del referendum ha concorso massicciamente internet, chi volesse farsi una idea delle politiche ambientali del Pd sul sito a questo dedicato non ha bisogno di prendere le ferie per acculturarsi. Sembra un frigo con scarsi rifornimenti spesso scaduti. Ecco, se l’ambiente viaggerà anche in un partito come il Pd in suo binario distinto dove è difficile trovare un treno in orario, penso che non riusciremo a fare la parte importantissima che ci compete specie dopo i referendum.
fosso val di denari