Sono trascorsi più di due mesi dall’entrata in vigore del decreto del Ministro Matteoli che avrebbe dovuto adeguare la nostra normativa sui rifiuti e le acque di lavaggio prodotte dalle navi alla normativa europea. Salutato con grande enfasi alla sua emanazione come un provvedimento che avrebbe contribuito a rendere la vita più difficile agli inquinatori, in realtà il decreto Matteoli si sta rivelando un clamoroso boomerang e si sta traducendo in un aumento dell’inquinamento dei nostri mari. Il decreto di quest’estate stabiliva infatti che gli impianti portuali per la raccolta delle acque di lavaggio delle petroliere devono essere autorizzati ai sensi della legge Ronchi sui rifiuti. Dal momento però che nessuno degli impianti in questione era in possesso di una simile autorizzazione, tutte le raffinerie hanno operato una vera e propria serrata degli impianti di ricezione e da agosto non accettano più le acque di lavaggio delle petroliere. Ma la capienza delle navi non è infinita: è più che probabile pertanto che se queste acque non vengono più conferite agli impianti di terra vengano scaricate abusivamente in mare. “Abbiamo sollevato il problema in pieno agosto, già all’indomani dell’emanazione del decreto, quando ci sono arrivate le prime segnalazioni di raffinerie che chiudevano gli impianti e non accettavano più acque di lavaggio – afferma Sebastiano Venneri, responsabile mare di Legambiente – Abbiamo lanciato l’allarme al Ministro Matteoli, a Confitarma, all’Unione Petrolifera, all’Assocostieri e a tutti i soggetti imprenditoriali e istituzionali coinvolti, ma finora abbiamo registrato solo un generico interesse per l’argomento che non si è tradotto in atti significativi. Da allora il Ministero dell’Ambiente – continua Venneri – ha convocato qualche riunione con le parti interessate, senza arrivare ad alcuna conclusione. Ogni ora e ogni giorno che passa c’è verosimilmente una nave che risolve il problema scaricando abusivamente. E’ una vera e propria emergenza, ma nessuno sembra preoccuparsene”. Il Ministero dell’Ambiente ha emanato una circolare esplicativa i primi di settembre che avrebbe dovuto risolvere il problema, ma i gestori non la ritennero sufficiente continuando la serrata degli impianti. E mentre i soggetti coinvolti in questa storia si rimpallano le responsabilità chi ne fa le spese è il mare.
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