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Controcopertina: Né sudditi, né clienti: solo cittadini

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : venerdì, 17 ottobre 2003

C’è un tempo per tutte le cose, si dice nella Bibbia. Questo per noi è il tempo di alzare la testa: per vedere dove siamo e dove vogliamo andare, per dire con forza che vogliamo un’altra politica, un diverso vivere insieme, un’altra qualità della vita. Per farlo partiamo dal rispetto della legge, dai diritti politici che poi sono anche i doveri dei cittadini. Partiamo (ma non ci fermiamo qui) dalla giustizia, solo perché le violazioni della legge sono state così vergognose che voltarsi ancora dall’altra parte sarebbe una forma di complicità, l’ennesimo “silenzio-assenso” che è il primo via libera per ogni forma di impunità. Ma la protesta contro il degrado istituzionale è solo, ripetiamo, il punto di partenza. Il punto di arrivo è vivere una piena cittadinanza. Ci sono due negazioni della cittadinanza, una antichissima, l’altra più recente: essere sudditi; essere clienti. Il suddito non aveva diritti, ma solo concessioni: il buon sovrano concedeva molto, il cattivo sovrano concedeva poco. Tutto era favore. Ma in politica NON SI DEVE MAI DIRE GRAZIE. In politica i legami familiari o affini non dovrebbero contare quasi nulla. Se la politica funziona, diventa perfino secondario CHI governa, perché ci sono leggi, istituzioni e soprattutto perché i cittadini partecipano, hanno a loro volta responsabilità. Per questo non ci sentiamo “giustizialisti” e meno che mai “qualunquisti”. Noi non pensiamo che la politica si faccia nelle aule dei tribunali. I tribunali sanciscono solo il degrado della politica, e in questo caso ci schieriamo decisamente dalla parte della magistratura. Né tanto meno pensiamo di dividere il mondo in governanti cattivi e governati buoni, come se classe politica e società civile non fossero specchio una dell’altra. E qui veniamo alla forma più moderna di cittadinanza negata: quando il suddito diventa cliente, e la politica una specie di “shopping center”. E’ una concezione che si è andata facendo strada sempre di più, in maniera subdola, soprattutto negli ultimi vent’anni: ognuno è portatore di un interesse privato, la politica è la somma di tutti gli interessi particolari. In pratica la continuazione del libero mercato con altri mezzi. E’ il vero cancro in metastasi della vita sociale: la concezione privata del pubblico. Di questa degenerazione ognuno porta la sua parte di responsabilità, anche se alla fine non tutti ne hanno ricavato qualcosa, e sicuramente la collettività ne è uscita impoverita; “privata” appunto, cioè spossessata di quella parte che per Hanna Arendt rappresenta la qualità primaria dell’uomo, che è “politico”, cioè “socievole”, o non è (e ricorda provocatoriamente che l’aggettivo “privato” in greco è “idion”, che caratterizza gli “idiotes”, i non cittadini). I cittadini non sono clienti, che chiedono semplicemente all’amministrazione tutti i servizi che non possono acquistare direttamente, o contrattano i singoli “favori”, magari anche quando sono dei diritti. - La distinzione fra “diritti” e “favori” è importante anche per chiarire che non consideriamo legittimo tutto quanto è legale. Pochi esempi per essere subito chiari e tremendamente attuali. Esempio numero uno: si può anche vendere “legalmente” l’isola di Pianosa, o un’intera spiaggia, o un pezzo di verde pubblico. Ma questo per noi non è legittimo, e non accetteremo più di assistere passivamente all’ennesimo fatto compiuto, anche a costo di attuare forme di protesta (come un’occupazione simbolica) che potrebbero essere inquadrate come “illegali”, ma che sono invece il sale di ogni democrazia. Esempio numero due: il cittadino extracomunitario che vive e lavora in Italia ma non ha il permesso di soggiorno è in una situazione illegale, ma ha tutti i diritti sostanziali degli italiani: diritto ad un trattamento dignitoso (non perché il padrone è buono); diritto al giusto salario (idem); diritto a mandare i figli a scuola e ad essere curato se si ammala (non perché la comunità fa beneficenza). I diritti si coniugano inevitabilmente con i doveri: il primo è quello all’informazione. Diritto ad essere informati e dovere di informarsi. Non esistono aree riservate, documenti “top secret” o voci confidenziali. La pubblica amministrazione deve essere trasparente, soprattutto quando si parla di SOLDI. E’ vergognoso che ci vogliano mesi per accedere a documenti e bilanci, come è successo per la Comunità Montana (che non a caso doveva nascondere la disinvoltura finanziaria del suo presidente). Chi non ha nulla da temere non ha nulla da nascondere. E se un responsabile non sa come vengono amministrati i soldi nella sua area di competenza, non può trincerarsi dietro la sua ignoranza (vera o falsa che sia): se ne deve andare per manifesta incompetenza. L’informazione deve essere chiara e comprensibile; e questo è un richiamo a tutti gli operatori dell’informazione: nascondersi dietro i linguaggi tecnici, le sigle, i codici da specialisti è solo l’ennesima gravissima deformazione provocata dalla visione privatistica della “cosa pubblica” (della serie: un comune si amministra come un’azienda; l’urbanistica è roba per geometri, il problema dei rifiuti roba per ingegneri, e via con la varia “tecnocrazia”). I giornalisti che si limitano a fare da ufficio stampa alla classe dirigente non hanno capito molto della loro funzione di “guardiani della democrazia” o addirittura di “soddisfare gli afflitti e affliggere i soddisfatti” (è una definizione di scuola americana, non di qualche talebano). Per tutto questo, e per molto altro, è il momento di alzare la testa.


manifestazione antenne striscione

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