Lieto, a Procchio, lo conoscevano tutti. Negli ultimi tempi veniva in paese con la sua vecchia 500 e si sedeva a un tavolo con la moglie, a bere un caffè, a scambiare una parola, a osservare le persone che passavano. E come dovevano apparirgli diverse da quelle che conobbe nel 1950, quando, all'inizio dell'estate, da Firenze approdò con pochi colleghi all'isola, alla ricerca di un luogo primitivo dove poter dimenticare gli orrori della guerra e poter tranquillamente fare arte. Piantarono le tende dietro le dune, a metà spiaggia, quando le dune erano ancora vere e proprie colline di sabbia ricoperte di gigli bianchi. Barbe lunghe, pantaloni strappati, allegri e scanzonati, furono accolti con stupore da una semplice comunità contadina, provata anch'essa dalla guerra, ignara dell'invasione di turisti che di lì a poco qui si sarebbe riversata. Nelle tende era difficile farsi da mangiare e le tele si rovinavano con l'umidità, così Lieto si guardò intorno e scovò una vecchia fabbrica di birra ormai adibita a magazzino che sembrava perfetta per farci un luogo di ritrovo e una locanda. Nell'agosto del '50, dopo aver convinto Meco, il ristorante fu inaugurato con una grande festa. Intorno al nucleo dei primi artisti, Lieto, Baraldi e Gonni, si formò presto una comunità di pittori, scultori, poeti, giornalisti, amici, italiani e stranieri, visitata da ospiti illustri, fra cui De Chirico. Al ristorante gli artisti facevano un disegno alle pareti in cambio di un piatto di pastasciutta, poi Meco tirava fuori qualche bottiglia d'aleatico e di moscato, suonavano, cantavano, facevano festa. Beatnick ante litteram, vagabondi solo all'apparenza, portavano avanti una seria e rigorosa ricerca artistica che poggiava su una solida formazione. Beppe Lieto aveva studiato all'Accademia di Firenze, allievo di Primo Conti e Felice Carena. Partecipò a varie esposizioni nazionali ed estere con una vasta produzione pittorica. Le sue opere si trovano in collezioni private in Italia e all'estero. Si dichiarava pittore e difendeva puntigliosamente la sua arte ma, per ironia della sorte, diventò famoso per i suoi smalti su rame invece che per i quadri. Tutti, nella zona di Procchio, avevamo qualcosa di Lieto: un portapenne, un bracciale, un lampadario, una targa con il nome della casa. Li forgiava in un carrozzone rosso, parcheggiato in uno spiazzo in paese, dove aveva piazzato un forno un po' arrangiato. Da quelle scintille uscivano magie. Negli anni '60 sposò un'olandese, medico, che aveva incontrato, manco a dirlo, a Procchio, e lasciò la tenda per una casetta all'Agnone. Erano una buffa coppia: lui piccolo, lei altissima, ebbero due figlie, Fiore e Fiamma. In quegli anni fu anche assessore del Comune di Marciana, mai allettato dalle scorciatoie e dagli agi ai quali preferì una vita modesta e onesta. A volte pareva burbero, mentre guardava di sottecchi, ma era uno sguardo acuto, puro e irriverente. Nel 2008 eravamo andati nel ristorante da Renzo, con i bambini del laboratorio di video di Procchio e ci aveva raccontato con una straordinaria vivacità del suo arrivo, dei pittori, del suo fraterno amico Gonni, del fermento che animava i primi anni elbani. Nel 2009 l'Associazione Culturale Elbalab aveva organizzato una sua personale, inaugurata con un incontro con Sergio Rossi e con la proiezione di un documentario a lui dedicato. Avevamo in progetto di organizzare una mostra per l'estate, ne avevamo parlato pochi giorni fa. Mi piace ricordarlo mentre declama i versi che il poeta senese Lusini aveva dedicato al luogo scelto da lui per trascorrere una vita intera, versi dimenticati, dipinti su un muro del ristorante: “O dolce Procchio, dai più bei viola, in te s'annega l'ansia d'ogni pena: serba per Noi fin l'ultima che vola ora serena.”
Beppe Lieto