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Controcopertina: Le riflessioni "Pasqali" di Luigi Totaro

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : sabato, 23 aprile 2011

La condizione di sofferenza deve avere una storia davvero lunga, se gli antichi maestri ebrei hanno sentito il bisogno di raccontare il mito della creazione e del peccato di Adamo per spiegarne la presenza nel mondo. Il peccato di Adamo, non individuale ma della specie umana: non aver creduto di poter essere simile a Dio per amore, ma cercare di esserlo per presunzione; aver scelto di credere più al potere delle conoscenze che a quello dell’amore gratis (per “grazia”). Gli umani si sono così costretti in un unico cammino di sofferenza; e le strade individuali al “paradiso” –alla felicità-, che qualcuno crede di trovare, presto lo riconducono al grande “esodo” degli altri uomini. I maestri cristiani hanno riaperto la frontiera della speranza: il Nuovo Adamo, Gesù di Nazareth, ha “creduto” nel suo essere immagine e somiglianza del Dio della creazione, ha “creduto” nell’amore gratuito di Dio –si è fidato, ha avuto fede nel fatto che Dio lo avesse generato della sua stessa sostanza divina, figlio di Dio-. E per questo ha ‘creduto’ di essere stato mandato a raccontare il “Buon Annuncio” (Eu angelos, in greco), appunto che la via della felicità passa dall’amore senza ragioni, senza motivi, senza contraccambi: quell’amore ‘assurdo’ che ci fa “impazzire” quando lo ‘sentiamo’ –impazzire nel senso che nel MeDioevo indicava la carta del Matto nei tarocchi, cioè vedere tutto con occhi nuovi)-, il solo davvero capace di generare la sensazione assoluta di piacere, naturalmente funzionale alla trasmissione della vita, che è la cosa più simile all’atto creativo proprio di Dio. Ma l’idea che qualcosa possa esser “gratis”, donata senza contraccambio, senza “legami”, è idea eversiva, intollerabile alla logica del potere, di ogni potere. Quando Gesù –raccontano gli Evangeli- volle insegnare ai Maestri ebrei l’amore di Dio, e li accusò di fare commercio della fede, e li cacciò dal Tempio, in quel momento egli segnò la sua fine. Fintanto che aveva percorso le strade della sua terra annunciando il suo amore e lasciando vedere le cose mirabili (miracula, in latino) che esso produceva, si erano limitati a guardarlo con diffidenza, ritenendolo però innocuo; ma nel Tempio, nel luogo della Tradizione, del potere sacerdotale, dei “dottori” che avevano colto il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male (il frutto proibito dell’Eden), nel Tempio della difficile storia del popolo d’Israele non doveva entrare e accusare. Ancora una volta gli uomini, contenti dell’immagine di sé che s’erano raccontata, di essere divini perché ‘possedevano’ il potere e il sapere, e lo scambiavano con l’obbedienza e la sottomissione di quelli che stavano più in basso, come scambiavano obbedienza e sottomissione col potere e il sapere di chi stava più in alto; ancora una volta gli uomini non si fidarono dell’annuncio che per diventare Dio si doveva passare dall’amore gratuito e disinteressato, che rende tutti necessariamente uguali perché tutti ugualmente simili e somiglianti a Dio. Non si fidarono, cioè non ebbero fede, non credettero. E Gesù fu crocifisso. L’annuncio grande dei Cristiani nel momento della tragedia fu davvero straordinario: Gesù era morto, ma aveva vinto la morte perché era stato generato dall’amore gratuito, pieno, vitale di Dio. E tutti coloro che avessero creduto che quell’amore era capace di dare la vita avrebbero vinto la morte, per iniziare una nuova vita come Gesù, come “generati e consostanziali” a Dio. Le narrazioni dei Libri Sacri degli Ebrei e dei Cristiani, e l’immensa messe di commenti che nei secoli ne sono stati fatti, ci raccontano la storia lunga dell’angoscia umana di fronte alla propria finitezza, alla morte con i suoi mille volti che ogni attimo la vita ci fa incontrare. E ci raccontano il desiderio, il bisogno, l’aspirazione alla speranza sempre presenti in quella storia, fino a oggi. Lascio naturalmente agli illuminati dalla fede o dalla scienza la disputa sulla “verità storica” delle narrazioni bibliche. Più semplicemente mi accontento di sentirmi unito alla speranza dei molti che vogliono credere con tutte le loro forze che la “vita” può vincere la “morte”, almeno fino a che c’è. E voglio credere che nella mia vita individuale, nella vita della comunità cui appartengo, nella vita dell’umanità intera, se riusciremo a cacciare dal Tempio i mercanti, i sacerdoti e i dottori della Tradizione e dell’immobilità, dopo la notte tornerà l’alba. Questo il mio augurio a Sergio e a tutti gli amici che leggono Elbareport.


cacciata dal paradiso terrestre

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