Non si può addomesticare l’energia nucleare, esattamente come non è possibile domare lo tsunami, solo che della prima dovremo fare a meno (l’uranio, come il petrolio, è a termine), il secondo non lo elimineremo mai. Questo ci insegna il gravissimo incidente occorso alla centrale giapponese di Fukushima che, anche se fosse risolto ora, ci impone una pausa di riflessione significativa lungo l’eventuale strada del nucleare mondiale e italiano. Le barre di combustibile sono rimaste esposte completamente (“fully exposed” secondo TEPCO, il produttore di energia giapponese) in un reattore e parzialmente in un altro (2,95 m su 4 m). Questo, normalmente, significa impossibilità di raffreddare e, quindi, fusione parziale, il fenomeno maggiormente pericoloso in caso di incidenti nucleari. Ma da noi i politici diventati ideologi del nucleare ci dicono che questa è la prova che la sicurezza funziona e che si va avanti comunque. Peccato che neanche gli accortissimi geofisici giapponesi si aspettassero un terremoto di quella violenza sul proprio territorio, ma, al massimo di magnitudo 8 Richter (cioè centinaia di volte meno distruttivo). Perciò i parametri di sicurezza di quella vecchia centrale non erano adeguati al sisma. Ciò significa che un qualsiasi programma di costruzione di centrali sul nostro territorio deve essere rivisto per parametri di sicurezza non più commisurati a un terremoto massimo di magnitudo 7,1 Richter (quello di Messina preso a riferimento), ma anche di potenza maggiore. Con costi incrementati di conseguenza. In secondo luogo, oggi tutti possono comprendere che il costo di un kWh di origine nucleare non è stimabile a priori, ma solo a fine ciclo del combustibile. Cioè che vanno messi nel conto inertizzazione delle scorie (dove? Come?) e possibili incidenti, che, come si vede in queste ore, fanno lievitare i costi in maniera esponenziale. Chi costruisce una centrale lascia questi costi occulti a carico della collettività, che sarà obbligata a caricarseli lungo tutta la vita delle scorie, per non citare gli eventuali incidenti. Cioè per migliaia di anni. I guasti nelle centrali nucleari non sono frequenti, è vero, ma quando avvengono pesano più che in qualsiasi altro impianto industriale. Ecco perché la tolleranza deve essere zero. E questo nessuna centrale nucleare può garantirlo. Purtroppo nessuna delle ragioni addotte dai fautori del ritorno all’energia nucleare è soddisfacente. Dico purtroppo perché tutti vorremmo energia a buon mercato, innocua e infinita. Ma questo non è certo il caso del nucleare. Abbiamo riserve di uranio per forse 50 anni, ma a patto di non accendere nuovi reattori, altrimenti dureranno molto meno, magari meno degli altri combustibili geologici (anche l’uranio lo è). Una centrale nucelare costa quasi 10 miliardi di euro, che potrebbero essere meglio impegnati nel risparmio energetico e nella migliore efficienza: coibentare bene le anbitazioni, per esempio, ridurrebbe le emissioni inquinanti di quel terzo dei consumi (che sono quelli domestici) di circa la metà, consentendo di non costruire nuove centrali di alcun tipo. E’ come se avessimo una vasca in cui mantenere costante il livello dell’acqua nonostante si aprano dei buchi: conviene metterci altra acqua o riparare i buchi? Poi c’è il problema non risolto delle scorie, che restano potenzialmente pericolose molto a lungo: in nessun posto al mondo di sa dove metterle per sempre.
Tozzi Mario libro