Torna indietro

A Sciambere di una piccola storia ignobile

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 15 marzo 2011

Forse con tutto quel che passa di epocale, di globale, cari lettori sembrerà stonato che ci occupiamo oggi di una piccola storia ignobile in cui ci siamo imbattuti, il cui scenario ci dovrebbe toccare ancor più marginalmente perché è una città del centro d’Italia distante dal bacino d’utenza di questo giornale. Prendiamo una ragazza di buona famiglia borghese cresciamola con le dritte educative della destra di un tempo (quella per cui la serietà comportamentale e la compostezza dei costumi sono dei valori), facciamole frequentare l’università, e poi un master in gestione delle risorse umane e dopo che ha dato buona prova delle sue capacità in uno stage semestrale (leggi lavoro gratuito) e in un anno di lavoro a contratto assumiamola a tempo indeterminato, presso chi? Ma certo in uno dei templi del liberismo, in una struttura che gestisce il mercato privato del lavoro, dove la concorrenzialità, anche interaziendale, è il pane quotidiano (con scarso companatico perché le si dà uno stipendio che supera di poco quello di un metalmeccanico). La ragazza è tosta, senza grilli per la testa, e continua a lavorare sodo, il suo (forse eccessivo) senso di responsabilità la porta a rendersi disponibile H24, a restare in ufficio oltre l’orario, a coprire pure le manchevolezze dei colleghi etc . Ma accade che - nessuno è di ferro – dopo quattro anni di stress qualcosa si spezzi, accade che la ragazza si ammali seriamente e sia costretta ad allontanarsi per un trimestre. Quando rientra, fisicamente debilitata, prova a riallinearsi ai ritmi di prima, alla operatività che ne avevano fatto un “modello aziendale”, ma non ce la fa, ed incappa in una brutta depressione stringe i denti per otto mesi e poi è costretta ad una nuova assenza di due mesi. Riprende servizio ed in luogo di un aiuto, di un incoraggiamento trova ad attenderla un trasferimento dichiaratamente punitivo a cinquecento chilometri di distanza in linea d’aria e un giorno di viaggio da casa sua, da accettare entro venti giorni, con la sola alternativa di dimettersi dal servizio e togliere il disturbo. Come dire ora che ti abbiamo spremuta come un limone, facci la vattene, schizzaci tre passi dai coglioni. Si potrà eccepire che in fondo la ragazza resta più fortunata del 30% dei suoi coetanei, che negli ultimi anni non hanno proprio lavorato, e magari che c'è chi è pronto anche ad emigrare e perfino a vendersi per conquistarsi uno stipendio, si arriverà obiettare che a tali infami trattamenti è uso sottoporre altre donne quando hanno la sfortuna di “incappare” in una gravidanza, ma la storia resta emblematica. Sentiamo troppo spesso gli esponenti di una parte politica (per i quali – ironia della sorte – la protagonista della nostra storia ha sempre votato) sciacquarsi la bocca con la parola “garantismo”: a quando in questo paese, a proposito di garanzie, la dignità del lavoro, a quando il diritto di ammalarsi senza essere stritolati dalla macchina infernale al quale un liberalismo barbaro, cieco e ottuso ha fatto il pieno. C’è bisogno di più solidarietà, di umanità, di senso della collettività, tutte cose che hanno poco o niente a che vedere con il generico buonismo, ma molto hanno a che fare con la certezza del diritto e con la attuazione di una Costituzione per la quale nessuno è meno uguale di un altro.


Vetro Rotto

Vetro Rotto