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L'aver smarrito il senso del confronto politico

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 10 marzo 2011

“Striscia la notizia” ha iniziato un’inopinata campagna a difesa di Antonio Ricci (il suo creatore e il creatore –a suo tempo- di “Drive in”), secondo il modulo ormai ricorrentissimo del ‘così fan tutti’. Trovo assai noioso e anche un po’ patetico vedere Greggio e Hunziker -peraltro bravi conduttori- nei panni dei moralizzatori, fra un servizio satirico e un’inchiesta più o meno giornalistica; e credo che sia anche un po’ controproducente per la trasmissione (che del resto è quella che è). E tuttavia trovo semplicistico vedere, come hanno fatto alcuni autorevoli commentatori, nelle prime trasmissioni di Ricci il simbolo della televisione e della cultura berlusconiana. “Drive in” -come “Quelli della notte” o “Avanti tutta” di Arbore- rappresentarono al loro tempo la satira del “Varietà per famiglia”, delle gemelle Kessler, delle “Canzonissime” e via dicendo: esibivano senza “pruderie”, e disvelandone l’ambiguità, l’uso ammiccante del corpo femminile dalla “Belle époque” all’“avanspettacolo”, mescolando ‘tormentoni’ e ‘luoghi comuni’, e con ciò irridendo una cultura da ‘bar’, tutta maschile, guascona, vanesia e frustrata. Certo, la stessa operazione trascinata per trent’anni, soprattutto quando i “varietà” per famiglia hanno incorporato il modello che li aveva messi in ridicolo, depurandolo della carica satirica (“Domenica in”, “Buona Domenica”, e via dicendo), quell’operazione -dicevo- rappresenta davvero il decadimento di una cultura, della capacità di lettura, d’ironia, di comicità: un po’ come il “Ciòbar” paragonato a un a cioccolata con panna da Rivoire in piazza della Signoria. Piuttosto penso che l’inizio del decadimento culturale della televisione (delle televisioni), e per ciò stesso del pubblico che l’ha come fonte quasi esclusiva di acculturazione, sia da ricercare nell’“invenzione” (o meglio, della trasposizione italiana) del ‘talk show’, avvenuta con il Maurizio Costanzo di “Bontà loro” nel 1976, reiterato poi con diversi titoli fino alla ripresa odierna a distanza di trentaquattro anni. Il ‘format’ di Costanzo, “incentrato su ospiti famosi o anonimi, portatori di storie, sull’attualità, sulla interazione con una trentina di telespettatori sul palco e sulla vita a puntate di personaggi noti” (definizione ufficiale RAI), ha rappresentato un fatto gravissimo: l’equivalenza delle opinioni, delle asserzioni, delle cognizioni. Per il solo fatto di essere in trasmissione, in televisione, ogni differente qualità si confonde con le altre, ogni competenza particolare si dissolve di fronte alla competenza esibita (o urlata) degli altri interlocutori, e tutti possono parlare di tutto ponendo a fondamento delle proprie affermazioni la propria esperienza, sostituita alla conoscenza e alla scienza, e che come tale è autorevole come ogni altra. L’unico elemento di garanzia sarebbe costituito dall’essere “in televisione”. Progressivamente si è affermata la figura dell’opinionista, che prima era Moravia o Alberto Bevilacqua, poi sono diventati Platinette o Sgarbi, e poi, insieme a loro, tutti quelli che di volta in volta erano lì in quanto “personaggi”. La formidabile “sapienza” di Costanzo ha confezionato negli anni un prodotto sempre più armonico, decisamente anche piacevole, ma che ha proposto e poi imposto l’idea che tutti possono parlare ‘autorevolmente’ di tutto. Il ‘format’ ha fatto scuola trasferendosi nella quotidianità (bar, tram, treno, spiaggia, ecc.), anche se la televisione rimane un ‘medium’ privilegiato. Altri autori vi si sono conformati, taluni inconsapevolmente, e anche quando intendono caratterizzare criticamente i propri “talk show”: penso a trasmissioni che personalmente apprezzo anche, come “l’Infedele” di Lerner, o “Ballarò”, di Floris, nelle quali -complici anche norme di ‘equilibrio’ politico- si continua a vedere intervenire persone il cui parere è destituito di qualsiasi autorevolezza intrinseca, di qualunque dignità scientifica, di qualunque credibilità, ma è espresso per mero accreditamento politico -e nelle forme delegate nelle quali si dà oggi l’accreditamento politico. Ospiti fissi di quelle trasmissioni, come Straquadanio o Santanché, invitati per controbilanciare altri ospiti di diverso orientamento, non rappresentano obiettivamente nessun contributo al dibattito, limitandosi a un’azione di disturbo forse lecita in sede politica ma assolutamente impropria in ambito informativo (a scuola chi disturba viene allontanato). La dignità del dibattito non è assicurata dalla parità numerica dei rappresentanti delle parti a confronto, ma richiede la qualità personale degli intervenuti e la loro capacità di sostenere delle idee formative, non meri “partiti presi”. Belpietro, Sallusti, Porro non contribuiscono a chiarire nulla né a far conoscere alcunché: non hanno nulla da dire, e la loro funzione è di ribattere, non di dibattere. E’ infatti l’idea stessa dell’equilibrio delle posizioni -figlia dell’equivoco dell’obiettività della trasmissione- il portato tragico del Costanzo-pensiero. Le posizioni, in genere, non sono affatto equivalenti, e anzi una è giusta e l’altra è sbagliata. Se si vuole progresso di conoscenza si deve cercare di rendere evidenti le ragioni della giustizia e l’inganno dell’errore. Un giornalista non simpaticissimo come Travaglio snocciola dati su dati; e se li lega assieme con delle opinioni, non sono quelle la parte importante dei suoi interventi, poiché esse possono essere contestate, i dati no. Eppure i giornalisti hanno il compito di cercare e fornire dati, elementi di conoscenza: dei loro pareri ci interessa poco, perché se hanno lavorato con professionalità il parere ce lo possiamo costruire da soli; e invece i più accreditati sono proprio quelli come Sergio Romano (chi sa perché un ex ambasciatore deve essere considerato un maestro di pensiero), come Massimo Franco, come Pier Luigi Battista, la cui somma attenzione è volta a mantenere un assoluto equilibrio (cioè a non far capire niente). Gli stessi politici che partecipano ai talk show -i veri politici, non come quelli citati e i tanti altri di più o meno bella presenza-, invitati con il criterio del bilanciamento, finiscono per dar vita a uno “spettacolo” che si ripete continuamente, finendo per annoiare e disamorare il “pubblico”. Il risultato è il disinteresse progressivo per ogni dibattito vero, e la confermata sensazione che tutte le posizioni hanno lo stesso peso e lo stesso valore. Così muore la politica come passione, come dibattito, come impegno di conoscenza e di progetto. Altro che “Drive in” o “Striscia la notizia”. Nessuno affiderebbe le proprie coronarie a Platinette -che non è il pezzo peggiore- o a Sgarbi: forse la vita è meno importante? A meno che la vita non sia “Il Grande Fratello”, perché allora va bene anche Alfonso Signorini.


Totaro media

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