Torna indietro

Controcopertina: Luigi Totaro - per non farci cadere le braccia

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : sabato, 05 marzo 2011

Mi hanno confortato le note di commento del Direttore e del professor Tanelli al brano di Elsa Morante che avevo segnalato (e che già era stato pubblicato su un quotidiano nazionale). Non avevo voluto commentarlo, ma forse è necessario raccogliere le forze per non abbandonarsi alla terribile malinconia di questi tempi, e ricominciare a parlare di politica. Ecco allora due riflessioni. Sperimentiamo oggi la violenza della Democrazia: siamo cioè costretti a riflettere sulla “forma” di governo che i secoli ci hanno consegnato come migliore e più giusta perché, deprivata com’è della sua “sostanza” -che è il bene comune-, la vediamo ridotta a mero strumento “legale” di esercizio di un potere senza senso e senza storia, piegato ormai solo a proteggere gli interessi, i capricci, l’incapacità di una singola persona che domina per l’immensa disponibilità di denaro, e quindi di controllo su tutti quelli che da lui dipendono. Il Demos -il popolo, teorico depositario della sovranità- è abbacinato dallo splendore dello sfarzo (ville, palazzi, barche, auto, gioielli, e una corte sempre presente e sempre plaudente; televisioni, giornali, giornalisti devoti, politici devoti, ecc.), com’è sempre accaduto con le corti dei sovrani, con i cerimoniali, con le liturgie: “è meglio essere ricco e vivere splendidamente che essere povero e miserabile” avrebbe detto il Catalano di “Quelli della notte”. Così il Parlamento si trova a esser considerato un impaccio, la Magistratura un pericolo, la scuola un lusso; le “funzioni” della vita politica divengono prebende, “benefìci” attribuiti ai fedeli o ai protetti per compensarli dei loro servigi e continuare ad assicurarseli: e ancora una volta l’avvenenza dell’aspetto distrae il popolo-giudice dal meccanismo perfido dell’umiliazione della funzione e di ogni merito, mentre il canto delle sirene del consenso inventa “promozioni di giovani” e “decoro (estetico) delle Istituzioni”. Questo è il ‘deja-vu’ del brano della Morante, del Fascismo, dei fascismi: sempre con lo stupito assenso del “popolo” incantato dalla forza e dal decisionismo, dalle parate -poco importa se militari o di “VIP” circensi-, dallo sfoggio del potere. E se il popolo sovrano è politicamente “ignorante”, il suo potere “democratico” diviene devastante. Se si accetta di mettere da parte il “bene comune”, allora non ha più senso neppure il “buon governo”, e tutto finisce per riguardare il ‘dominus’, la sua corte, la sua vita privata ecc. Così il dibattito odierno non si occupa del governo del Presidente del Consiglio. Il problema dei problemi è la tutela della ‘privacy’, che poi è soprattutto la privacy di lui stesso e della ‘corte’. Il “Pensiero liberale” interviene con l’affermazione del diritto di ognuno di fare quello che vuole nelle mura di casa propria. E’ cosa ben misera rispetto alla tradizione del pensiero liberale, oltreché sbagliata (nessuno, ad esempio, può picchiare un altro, anche sta in casa sua) e retrograda: è assai più ampia la tutela della vita privata nella Costituzione, con il consueto riferimento al quadro delle leggi che la esplicitano. Se poi la “difesa della privacy” si riduce a un signore ricchissimo e vecchissimo che vuole tenere in casa un arem da sultano mediorientale, si sta davvero perdendo il senso delle parole, con un’ulteriore umiliazione dei principi fondamentali del vivere sociale. Ebbene: Berlusconi (come qualunque altro cittadino) può fare tutto quanto non viola le leggi dello Stato, in casa sua e dove vuole; ha diritto di difendersi in Tribunale con tutti gli strumenti che la civiltà giuridica e il suo patrimonio gli consentono di usare, compresi tutti i cavilli del mondo; può fare tutti gli affari che vuole (e che fa) nella dinamica accettata del sistema capitalistico; può esercitare la “beneficienza” come vuole e con chi vuole, ecc. L’unico limite, lo ribadiamo, è costituito dalle leggi vigenti. Ma il Presidente del Consiglio, il mio Presidente del Consiglio del mio Governo del mio Stato, non può fare tutto quanto è consentito al cittadino Berlusconi e a qualunque altro cittadino; semplicemente perché deve “rappresentare” anche me, cioè deve agire come se fosse me (“tenendomi presente”, “rendendomi presente”, che è il significato di “rappresentare”), senza coinvolgermi nel suo “privato”. Nella Firenze comunale i Priori (la massima carica di governo) non potevano lasciare il Palazzo della Signoria per tutto il tempo della loro funzione: non esistevano più come “privati”. I Papi e i Re cambiano il nome al momento dell’elezione, per significare che il loro privato non esiste più, che sono altra persona (con un altro nome appunto). Il re d’Inghilterra Edoardo VIII si trovò a dover scegliere fra la sua vita privata e la sua funzione, e scelse la prima abdicando nel 1936 dopo pochi mesi di regno, poiché le sue scelte erano incompatibili con la funzione di re. Insomma nessuno è obbligato a rinunciare alla propria vita privata, ma nessuno è obbligato a svolgere una funzione pubblica se non è in grado o in intenzione di farlo secondo quanto previsto dall’art. 54 Costituzione 2 comma: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”, posto che la disciplina e l’onore non possono concettualmente appartenere a una sola sfera -quella pubblica, nel caso presente- di una persona che è necessariamente un “unicum”. Però sulla scena ci sono anche altri attori. Non tanto coloro che sono forzati a difendere qualunque atto del Presidente del Consiglio, pubblico o privato che sia, semplicemente perché la loro sopravvivenza -e non solo politica- dipende dalla sopravvivenza del medesimo. Ma anche coloro che ogni giorno si rendono colpevoli di non tirar giù dal loggione quello che fischiava a Petrolini (ricordato da Tanelli). So bene che in una Democrazia solo formale l’opposizione ha pochissima capacità di azione; e certo questo pesa, come pesa quella sorta di stordimento del quale l’opposizione sembra esser preda a causa dello stravolgimento della dialettica politica, con una maggioranza che fa tutto quello che vuole e come vuole, “perché ha i numeri parlamentari”. Ma temo che ci sia anche altro ad aver compromesso e a compromettere l’incisività di un contrasto che appare debole e poco rilevante. Mi è capitato di leggere due libri che considero capitali riguardo a questo problema: il primo, di Hannah Arendt, s’intitola “La banalità del male” (Feltrinelli 1964 e 2001), ed è una terribile riflessione sulle complicità involontarie di chi “sta a guardare” mentre il male si compie, anche per mano di ‘piccoli’ autori. Il secondo, quasi un commento al primo, è di Eyal Weizman, “Il male minore” (Nottetempo 2009): ci mette davanti agli occhi le conseguenze perverse e drammatiche della filosofia del “male minore”, e ci richiama all’attenzione del pericolo insito nella ‘moderazione’ etica privata e pubblica, fino ai grandi drammi del passato, appunto il Fascismo e il Nazismo. Contro “questo” relativismo etico (del compromesso, del ‘maanchismo’, del ‘cerchiobottismo’ e via dicendo) più che contro il berlusconismo comunque a fine corsa (l’anagrafe non perdona) conviene organizzare una nuova Resistenza: i due libri citati possono essere un buon punto di partenza.


luigi totaro

luigi totaro