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Controcopertina: Corallo e corallari all’Elba

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : lunedì, 07 febbraio 2011

Una storia a metà tra la leggenda e l’avventura si è intrecciata con la memoria dell’Elba negli anni ’60-’80: è la storia del corallo, l’oro rosso del Mediterraneo. Da molte migliaia di anni il corallo rosso è oggetto di pesca e lavorazione e le prime notizie su questa attività umana sprofondano nel mito. Come cita Calvino, traducendo le Metamorfosi di Ovidio: «Perché la ruvida sabbia non sciupi la testa anguicrinita, (Perseo) rende soffice il terreno con uno strato di foglie, vi stende sopra dei ramoscelli nati sott'acqua e vi depone la testa di Medusa a faccia in giù... La cosa più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla terribile testa» Il corallo rosso ha da sempre affascinato l’uomo, il quale, in tempi lontanissimi ne faceva l’uso più diversificato: pietra preziosa, ornamento, afrodisiaco, medicamento, moneta, amuleto contro la cattiva sorte. Frammenti di corallo, usati probabilmente come amuleti, sono stati rinvenuti in sepolture di circa 30.000 anni fa. Il corallo rosso (Corallium rubrum) è un animale coloniale marino, appartenente al grande phylum dei Celenterati (o Cnidari), che tra l’altro comprende organismi come le meduse e le attinie, e la sua struttura a ventaglio ricorda molto quella delle Gorgonie Rosse (Paramuricea Clavata) ben note ai subacquei, con le quali è strettamente imparentato. Vive in una fascia di profondità compresa tra pochi metri e gli oltre 100, (nel Mediterraneo è stato segnalato fino a 280 metri), ma in ambienti accomunati da una caratteristica ben precisa: la scarsa luminosità. Infatti normalmente predilige le volte delle grotte sottomarine o comunque dei siti protetti dalla luce eccessiva, lontani dalla sabbia e dai sedimenti del fondale e battuti da correnti che ne facilitino il trasporto dei nutrienti. La pesca del corallo nel Mediterraneo è sempre stata oggetto di un lucroso commercio e di una raffinata attività di trasformazione, nella quale si sono succedute tutte le popolazioni che si sono sviluppate ed hanno trafficato in questo mare. Quello che sappiamo è che l’attività della pesca del corallo nel Mediterraneo ha radici antiche: le “coralline”, barche da pesca attrezzate con “l’ingegno” (un attrezzo in grado di grattare le colonie dagli scogli) hanno solcato per secoli il Mar Tirreno alla ricerca dei banchi più fruttuosi, o dei depositi di coralli morti che le correnti accumulavano in alcune aree. Nel 1870 nella zona di Sciacca, al largo delle coste siciliane, furono scoperti tre eccezionali accumuli di corallo dai quali le coralline siciliane hanno estratto più di 11 milioni di chilogrammi dei preziosi rametti. Dalla metà del 19° secolo la città di Torre del Greco si è affermata come il più importante centro mondiale di lavorazione e commercializzazione del corallo. In tempi recenti, dall’inizio degli anni ’60 la diffusione delle tecnologie dell’immersione subacquea hanno permesso l’apertura di una nova stagione della pesca a corallo, e una tipologia inedita di uomini del mare appare per la prima volta sulla scena: i “corallari”. Nuovi nomi entrati nel mito per gli appassionati del mare: in Campania Falco, Novelli ed Olgiai, cominciano a pescare il corallo sui banchi di Torre del Greco, in Sicilia comincia l’avventura della pesca sul Banco Scherchi, in Toscana, Garibaldi e Zoboli sin dagli anni ’50 si dedicano ai banchi al largo di Antignano, a sud di Livorno. La scoperta dei banchi di Alghero e delle Bocche di Bonifacio negli anni ’60 poi aprirà la stagione della caccia all’oro rosso del Mediterraneo in Sardegna, che ancora oggi continua per mano di alcuni irriducibili appassionati. La raccolta del corallo, equiparabile all’oro in termini di valore, è collegata a storie ed avventure incredibili per l’alto rischio delle immersioni profonde e ripetute oltre i limiti della sicurezza. Alcune morti e incidenti invalidanti segnano la storia della ricerca del corallo, ma le imprese del corallaro sono raccontate, da chi le ricorda, con l’ammirazione e il rispetto riservato agli eroi del mare. Anche la nostra isola, per un breve periodo, è stata attraversata dall’avventura della pesca del corallo: a partire dagli anni ’60 tra Marciana Marina e Marina di Campo hanno operato almeno 5 imbarcazioni di corallari, l’ultimo dei quali è rimasto operativo fino a pochi anni fa. Infatti ancora oggi a Marciana Marina è operativo il negozio/laboratorio artigiano di Lucia Cetti, l’unica, e forse ultima, bottega per la lavorazione del corallo in Italia a nord di Torre del Greco. Il corallo “sangue di piccione” dell’Isola d’Elba ha sempre avuto un fascino ed una bellezza particolare, legata al suo colore rosso intenso, al tipo e alla qualità delle sue ramificazioni di una bellezza assolutamente tipica. Il Dipartimento di Scienze per l’Ambiente dell’Università di Pisa, negli hanno ’90, ha effettuato una analisi genetica sulle colonie di corallo dell’Elba rilevando la presenza di caratteristiche geneticamente uniche e non riscontrabili in altre colonie del Mediterraneo. Purtroppo, come sempre piu’ spesso accade in queste storie che intrecciano la vita del mare e dell’umanità, i banchi di corallo dell’Isola d’Elba sono stati svuotati e non hanno più nessun interesse commerciale. La maggior parte del corallo rosso in commercio viene dal Giappone o dalla Cina, i rametti asiatici in origine sono bianchi con macchie scure poi vengono colorati di rosso ma certo non hanno la resistenza e la durezza del corallo del mediterraneo. La pesca intensa e la lentezza della ricrescita delle colonie (circa 6 mm/anno di lunghezza e 1 mm/anno di diametro) ha portato all’impoverimento dei siti, alla perdita di qualsiasi interesse commerciale per questa secolare attività ed alla scomparsa sia di tradizioni e mestieri antichi che della figura del corallaro all’Elba. Le attuali quattro licenze disponibili per la raccolta del corallo non sono utilizzate da nessuno. Nel luglio 2010 una campagna di ricerca organizzata dal CNR nelle acque elbane con l‘ausilio di una nave per attività oceanografica e di moderni robot sottomarini hanno mostrato che gli scogli tradizionali di pesca, a distanza di più di 20 anni dal loro ultimo prelievo, sono ancora desolatamente deserti e probabilmente lo resteranno per sempre.


corallo rosso sub

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corallo ingegno attrezzo epoca

corallo ingegno attrezzo epoca

corallo ingegno attrezzo epoca bis

corallo ingegno attrezzo epoca bis