Caro Umberto, siamo addolorati per la tua perdita e ci stringiamo a te e alla tua famiglia con tanto affetto, un abbraccio gli amici di Legambiente ha scritto LEGAMBIENTE ONLUS, così come i Senatori Francesco Ferrante e Roberto della Seta hanno tenuto a sottolineare la loro vicinanza alla famiglia Mazzantini e stesse parole sono giunte dal PD marcianese, in tanti hanno inviato mail e messaggi ma soprattutto moltissimi hanno voluto essere presenti a partecipare alla cerimonia dell'ultimo saluto a Marietto Mazzantini deceduto a soli 50 anni. C'erano il vice-segretario nazionale di Legambiente Sebastiano Venneri il Presidente del Parco Nazionale Mario Tozzi, la direttrice del PNAT Zanichelli, il ViceSindaco di Porto Azzurro Angelo Banfi, gli ex Sindaci Marinesi Pasquale Berti ed Alberto De Fusco e tanta gente quanta raramente ne vede il piccolo cimitero di Marciana Marina, a testimoniare l'affetto di una comunità intera: Ringraziamenti della famiglia Mazzantini La famiglia Mazzantini ringrazia tutti voi per essere qui oggi, tutti gli amici di Mario che da tutto il mondo ci chiamano per una parola di ricordo e sollievo e, per tutti quelli che gli hanno voluto e ci vogliono bene, Agostino, Paolino, Ermanno, Pepa, Lucasta, Mario Papi, Lucia, Doda e Simonetta. Lorenzo e Susanna… tutti gli altri che non ci siamo scordati ma che sarebbe troppo lungo dire e tutte le amiche fedeli di mamma Jole. Ringraziamo Legambiente per l’affetto, i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante per essersi ricordati del nostro dolore anche in questo brutto momento della nostra Italia. I compagni di Sinistra Ecologia e Libertà per il loro solidale conforto, il PD Marcianese, Beppe Cocchia per aver custodito intatta questa bandiera rossa carica di ricordi per la nostra famiglia proletaria ed antifascista. Un grazie agli ex colleghi di lavoro di Mario e per tutti ad Antonio Berti, il nostro carissimo Taboga, a cui Mario voleva un bene dell’anima. Grazie all’Avis ed alla Pubblica assistenza per quello che hanno fatto anche per Mario nel suo letto di ospedale. Un grazie particolare ai medici e agli infermieri di Portoferraio che hanno accompagnato con umanità e discrezione Mario fino alla partenza del suo nuovo viaggio, ad Alberto De Fusco e Gianni Donigaglia che per tre volte, come dice Mario, hanno allontanato la dama con la falce dal suo cuore. Un grazie dal cuore a tutti voi per essere qui nonostante questo nuovo crudele gennaio della nostra vita, che ricorda troppo quello di 40 anni fa, quando perdemmo nostro babbo Veleno in un lontano sanatorio. Vorremmo chiedervi solo una cosa, un favore che Mario ci ha chiesto di chiedervi: vi preghiamo di non portare sulla sua tomba, birette, sigarette, cannoni e ricordini, lasciate se, volete, quando la primavera arriverà, li a terra un fiore effimero di mucchio marino o di lavanda raccolto a Val di Cappone. Chi crede lo ricordi nelle sue preghiere, gli amici e i compagni gli riservino un angolino dimenticato del cuore dove sfuggire alla dimenticanza. Accanto all’urna di Mario c’è un libretto dove, se volete, potete lasciare un vostro pensiero, chi ha un ricordo felice di Marietto lo scriva o lo dica. Se volete unitevi a noi alla fine per salutare Mario cantando Bella Ciao. A primavera faremo una festa per Mario a Val di Cappone e vorremmo stampare un piccolo libricino con i suoi pensieri e le rare foto della sua vita, chi le ha ce le porti. Non vi ringrazieremo tutti mai abbastanza. Non vi meravigliate di una bandiera rossa. Orazione civica per Marietto Mazzantini Nessuno si meravigli di vedere resuscitata qui al cimitero la bandiera rossa e la falce e martello ricamate una vita fa dalle donne comuniste di Marciana Marina. Mario, che l’ha voluta, era comunista come i compagni di Gesù, come i primi cristiani che condividevano il pane. Un comunismo intimo, dolce e dello spirito, un comunismo imparato, più che nella sezione del PCI, dove prese l’unica fugace tessera della sua vita, sul tetto del treno con il quale attraversò l’India dal Tamil Nadu tropicale alle fredde pianure pre-Himalayane di Nuova Delhi, penetrando il cuore del continente polveroso e rurale degli intoccabili e delle mucche sacre, respirando le spezie, l’odore, il lezzo e il futuro del mondo, dove la felicità sono due dollari al giorno, dove la vita è vera e difficile, dove le speranze sono leggere come piume che non troveremo mai sugli scaffali dei nostri ipermercati. Mario è morto in piedi come un uomo, scegliendo, sempre e comunque, la sua perdizione e la sua salvezza, la sua pira funeraria e il suo Gange di reincarnazione. E’ morto sereno e sorridente dopo tanto dolore, grato alla vita che è stata, in piedi e armato di tutta la sua coscienza ribelle, un cinquantenne libero come un sedicenne maoista advasi, che forse avrà incontrato su un lento treno indiano, felice di aver difeso le uniche cose che valgono davvero: l’integrità di sé stesso, la dignità dei poveri, la terra comune che ci è stata prestata. Mario non è stato un santo e non avrebbe voluto esserlo. Ha cercato il senso della vita e scavato nella sua disperazione in maniera spesso crudele con sé stesso che qualche volte ci ha fatto piangere lacrime di rabbia e sconforto… ma tante volte fino alle lacrime ci ha fatto ridere. Niente si è risparmiato, cercando sempre di non ferire, donando un pudore selvatico che non richiedeva agli altri, sempre disposto a condividere con gli ultimi la sua povertà ricercata, di ultimo per scelta ed avversione per il lusso e il potere. Mario è stato, anche nei momenti più duri, casa e conforto per molti senza casa e conforto, senza mai chiedere nulla in cambio, donandosi fino a trasformare lo splendido ragazzo della sua gioventù, l’invidiato amante di innumerevoli donne fortunate e deluse, il giovane uomo di Annabella, nel casto eremita dei boschi di Val di Cappone. Mario, che si è cercato nei libri e nel mondo, e che il mondo ha percorso e girato con le scarpe e le tasche sfondate, dalle vigne francesi, all’Asia induista e buddista, ai Caraibi ed alla mulatta dell’Avana che lo ha stregato con i suoi fianchi ballerini e gli occhi pieni di bugie, alla fine si è ritrovato nei suoi boschi di ombre e di felci, lungo il sentiero di Val di Cappone, alle vigne dello Zega, dove da bimbi andavamo a lecciaiole e gallastruzzi. E’ li che ha trovato medicina e salvezza, con Meda, il suo cane fedele, ed Emy la sua nuova cagnetta balzana strappata alla morte in Piemonte, con le sue capre intrattabili e i mufloni e i cinghiali che “baravano” quello che lui ricostruiva con una pazienza ritrovata, sasso su sasso, terra su terra, come dovrebbe essere una vita ben vissuta. In quell’umido magazzino senza corrente e con un filo d’acqua rubata ad una sorgente avara, Mario ha ritrovato la pace e ci ha restituito il suo ammaliante sorriso un po’ a presa di culo con il quale sentenziava le cazzate di un mondo di esseri umani diventati consumatori, dimentichi e spaventati della natura. Nel suo piccolo Gange domestico del fosso di Val di Cappone, dove conosceva ogni tana di vipera, ogni nido di merlo, ogni lucertola dei muri a solana, ogni gracidare di raganelle e rospi, Mario ha gettato la sua fragile barchetta di carta per iniziare il suo viaggio purificatore, il suo risalire passo passo quel sentiero sempre più faticosamente, fermandosi a guardare negli occhi della sua cagna mansueta per parlare della vita. Quel rivolo di Gange e quel sentiero ci hanno restituito un essere umano splendente, senza il quale non sappiamo come vivere, ci hanno dato una gioia così grande, fatta di parole non dette e sofferenze nascoste per non ferirci, che ci ha lasciato nudi e disarmati davanti al dolore del ricordo della sua serenità, della sua resa totale agli affetti e ad una vita scarnificata di tutto il superfluo. Le ultime parole che mi ha detto, dopo una cena ospedaliera di roba scotta e di battute e scherzi con Agostino Ciopo, che non ringrazieremo mai abbastanza per il suo cuore generoso, sono state per mamma Jole, l’eroina coraggiosa della nostra vita. Ora, dopo questo crudele passaggio, il ciclo della vita continua, dovremo occuparci delle nostre vite come Mario voleva, festeggiare la laurea del suo nipote scrittore di cui andava silenziosamente fiero perché aveva realizzato un suo sogno, vedere amate da uomini giusti le sue nipoti, ricostruire il ciclo della carne e del sangue che tutti ci lega e ci trasforma, l’uno negli altri. Bisogna farlo, resistere al dolore, e ritornare a ridere forti e liberi come Mario è stato fino all’ultimo. Mario, a differenza mia, credeva in una forza superiore e immanente, un potere benefico fatto di forze molteplici che tiene in piedi e dà senso alla crudeltà di un universo dove le galassie cozzano in scontri inimmaginabili e gli uomini sono uomini perché ricercano una verità forse già scoperta. Mario credeva che questo splendente intreccio di vita di questo pianeta, dove gli uomini si perdono dietro falsi bisogni e promesse, celasse la noce accecante di una semplice verità nel miracolo dell’esistenza dei più poveri dei poveri, dei migranti, dei bimbi che a milioni sorridono e piangono nelle periferie di Calcutta e Mumbai e che invaderanno il nostro futuro e la nostra opulenza. Spero che Mario abbia ragione, che trovi una polverosa ferrovia nella via lattea, che salga sul tetto di un treno e che il macchinista Visnù gli dica che un vagone più in là lo aspettano Franco Galletti, Grazia, Roberto… Ferruccio e Aristodemo… e tutti nostri amici ed amori perduti, spero che quel treno sia già partito spettinando i suoi riccioli da marocchino, che li porti tutti nella Varanasi celeste dove sul Gange ritroveranno quel barcaiolo indiano simpatico e taciturno che Mario racconta in un suo diario, che anche questa volta vuole essere pagato con una cartata di Marianna, da fumare in compagnia in mezzo al fiume, portati indietro dalla corrente, guardando i delfini che nuotano placidi e parlando del senso della vita. Spero che quella corrente celeste ce li riporti tutti indietro nei sogni, e spero che il sorriso di Mario un giorno bussi alla porta di Jole reincarnato in un timido vu cumprà del Benin, spero che qualche viaggiatore dell’anima quel sorriso lo riconosca un giorno in India, nella risata vittoriosa di un comunista sedicenne dell’Orissa che sventola trionfante la bandiera rossa del riscatto umano. Umberto, fratello di Mario La stella che avvampa L’Isola si è vestita di bianco Per accompagnarti oltre la soglia E guidandoti per mano sussurra: La stella che avvampa fiera Lascia un vuoto incolmabile Ma anche una corona brillante Di risate e amici Thomas Hai cercato la pace lontano nel mondo, l’hai trovata in te stesso in Val di Cappone Marianne A Marietto So dove trovarti A casa tua In una piccola valle incantata In un angolo di mondo che hai reso il tuo immenso paradiso. Oggi vengo a trovarti Marietto Per dirti grazie! Perché parlare con te nel silenzio dei nostri passi montanari è stato un grande piacere Perché accogliere nel mio cuore il dono dei tuoi magici segreti di meraviglie e creature di mille vite in una vita è stato un grande onore Oggi vengo a trovarti Marietto A casa tua Nel tuo Paradiso Per dirti ciao! Laura
Funerali di Marietto Mazzantini