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Cosa non va del federalismo leghista

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 11 gennaio 2011

Sindaci –ultimo quello di Livorno- e assessori comunali hanno documentato con cifre alla mano chi guadagnerebbe e chi perderebbe con il federalismo bossiano. E non solo in risorse, ma anche in ruolo. Idem per le regioni, specie quelle più deboli. Quanto alle province poi restano per molti versi tra color che sono sospese. La domanda allora è d’obbligo: che razza di federalismo è se anziché rafforzare il ruolo e la capacità di governo del sistema istituzionale a partire dalle autonomie locali lo indebolisce, lo penalizza. Qui si può cogliere una prima, macroscopica contraddizione rispetto anche a quella stagione che vide con l’avvento tardivo delle regioni accresciuto il ruolo anche degli enti locali chiamati per la prima volta ad interessarsi –insieme allo stato- anche di materie e problemi fino a quel momento estranei al loro ruolo a partire dall’ambiente. Non ne uscì uno stato più debole, come molti allora temevano, ma più forte. Se questo fu vero quando la repubblica si ‘ripartiva’ in regioni ed enti locali dovrebbe essere ancor più vero oggi che la Repubblica (dal 2001) si ‘compone’ di regioni ed enti locali. Una dizione che come sappiamo qualcuno considererà rischiosa in quanto fonte di possibili confusioni sui diversi ruoli, ma che si ispira a quella ‘leale collaborazione’ che è condizione imprescindibile di una politica ‘solidale’. Tanto più oggi che lo stato deve più di ieri misurarsi sull’arena comunitaria e internazionale. Si compone significa quindi che non si ‘scompone’, non si frantuma, non si divide insomma dove nessuno può fare i suoi comodi a casa sua. Qui è il tarlo e la palese contraddizione; non si è mai visto, infatti, un federalismo che rafforza il centralismo e punisce e indebolisce i comuni e il ruolo delle comunità locali. Se il Veneto va sott’acqua bussa alla porte di Roma ladrona magari contro Pompei ma poi non può pretendere che lì fiumi e laghi siano roba che interessa solo loro, e così per il mare, per le Dolomiti e le Alpi dove invece si mercanteggia come se fossero appunto cosa solo loro e non nazionale. Ecco perché anche nelle realtà regionali il confronto deve guardare al panorama nazionale dove il governo della cosa pubblica arranca sempre di più, che si tratti dei comuni, delle province. delle stesse regioni e poi dei bacini e dei parchi. Gran parte di queste realtà sia quando franano, quando allagano, quando inquinano sforano confini amministrativi che richiedono un governo ‘solidale’ interregionale e nazionale e spesso europeo che non rientra né in un ampolla né in un paiolo da polenta. In Toscana la ripresa del dibattito sul PIT deve avere questo respiro e questa capacità e visione nazionale perché solo così sarà anche ‘più’ toscano.


Toscana Mappa piccola

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