Si è concluso l’anno internazionale della biodiversità, un anno cruciale per le aree protette, per le quali a livello internazionale c’è stato un forte riconoscimento di ruolo alla Conferenza Cbd di Nagoya, ma che invece in Italia ha visto le minacce di tagli ai bilanci (solo parzialmente rientrati) e tagli veri di territorio come quelli dello Stelvio. Facciamo il punto su quest’anno vissuto pericolosamente con Antonio Nicoletti, responsabile aree protette e biodiversità di Legambiente. «Abbiamo trascorso il 2010 alla rincorsa. Nei primi sei mesi abbiamo rincorso la chimera della Conferenza nazionale sulla biodiversità, servita solo ad appagare l’ego di qualcuno, ed i successi sei mesi abbiamo rincorso i tagli, sia economici che territoriali. Ma nell’Anno internazionale della biodiversità ci si aspettava di più, ed almeno un rilancio delle aree protette. L’aver portato a casa un documento di Strategia nazionale per la biodiversità, lo possiamo considerare un piccolo obiettivo raggiunto – dice Nicoletti – perché è stato approvato dal Governo e dalle Regioni un documento insufficiente, pieno di contraddizioni e senza risorse economiche. Ma per le aree protette l’anno si chiude comunque con tante ombre ed un quadro molto incerto: le risorse per i parchi nazionali che sono state promesse ma che ancora non si vedono; lo Stelvio che non è più un parco nazionale, ma la sommatoria di tre aree declassate ad interesse locale e gestito fuori dalla legge 394/91; una azione politica del Ministero che non emerge e non si deve all’orizzonte; le stesse aree protette poco reattive e “tristi”, e soprattutto lontane dai contesti territoriali in cui si trovano». Un giudizio duro dell’azione del governo. «Diciamo subito che la crisi di oggi è figlia, non solo delle scelte fatte da Tremonti e subiti da tutti gli italiani per superare la crisi economica, ma è soprattutto il risultato di una mancanza di azioni e strategie adeguate che dura oramai da un decennio. Dalla rivisitazione del quadro normativo alla manutenzione della legge quadro, da una nuova impostazione strategica per le politiche e le azioni di sistema fino a rivedere profondamente le modalità di gestione, i parchi e le aree protette nazionali aspettano da tempo un segnale di attenzione che né Governo né Parlamento hanno saputo dare fino ad oggi». E allora cosa bisognerebbe fare? «Sebbene nutriamo seri dubbi che possa essere solo la politica a risolvere i problemi delle aree protette, abbiamo la speranza che siano le stesse aree protette, in un colpo d’ala, a puntare ad un’autoriforma. Dobbiamo ripartire dai parchi e promuovere un percorso insieme a chi in tutti questi anni ha sostenuto e accompagnato le aree protette nella loro tumultuosa e confusa crescita (associazioni, mondo scientifico, produttivo, cittadini, amministratori locali, etc…). Una nuova fase di innovazione politica e di sviluppo strategico per i parchi, nella quale un ruolo di primo piano lo esercitino le stesse aree protette». Ma la rete dei parchi è in grado di fare quello che dite? Non vi sembrano “bloccati”? «Per condividere un percorso, occorre essere d’accordo su come stanno le cose. E cominciamo a dire che i parchi, custodi della gran parte della biodiversità presente nel nostro paese, sono in difficoltà. Sono in apnea, e per riemergere o sono in grado di interpretare un ruolo di spinta per il territorio, di novità e innovazione, un di più, o finiscono inevitabilmente per essere zavorra, appesantimento, un di meno. Per superare questa fase critica bisogna che ritrovino quella spinta, quell’orgoglio che, nella stagione eroica degli inizi anni ’90, sulla scia dell’approvazione della Legge quadro (394/91), ha permesso la svolta espansiva. In meno di venti anni l’Italia, con una percentuale doppia rispetto alla media europea (del 5%), è diventata una delle nazioni leader del Continente per superficie protetta passando dal 3 ad oltre il 10%. La Legge quadro è stata sostanzialmente ben applicata e le sue previsioni sono state ampiamente rispettate. Ha contribuito a creare un sistema di aree protette a tutela della biodiversità estremamente importante: 827 aree naturali iscritte nell’elenco ufficiale, diffuse su tutto il territorio nazionale, interessando oltre 3 milioni di ettari di superficie protetta a terra e 2 milioni e 800 mila ettari di superficie protetta a mare». Eppure di quella legge c’è chi ne chiede a gran voce l’abolizione. Quale è il problema? «Oggi le aree protette sono, purtroppo, al centro di una animata polemica che riguarda, non tanto le modalità di un loro rilancio, ma investe persino il loro ruolo quale fondamentale strumento per la conservazione della biodiversità, e più in generale la loro utilità al sistema Paese. Stelvio docet. In realtà alle ragioni di merito, che non si affrontano, prevalgono quelle di bilancio. A dimostrazione di tutto ciò basta ricordare che, ad esempio, i Parchi nazionali ricevono complessivamente una quota di contributi statali per la loro gestione inferiore di circa il 25% rispetto a quanto ricevevano nel 2001, quando il loro numero era inferiore rispetto agli attuali. Dal 2001 inoltre, dopo l’abolizione del Piano triennale per le aree protette, non è stato più disposto alcun finanziamento triennale per il sistema delle aree protette d’intesa con le Regioni. Grazie al Piano fin dai primi anni ’90 era stato garantito una strategia condivisa per costruire un sistema di aree protette coerente su tutto il territorio nazionale. In realtà, proprio a partire dai tagli ai finanziamenti pubblici, in questi ultimi 10 anni le aree protette sono state sostanzialmente abbandonate a se stesse, e la politica, a parte l’occupazione lottizzatoria delle poltrone, poco ha fatto per un loro reale rilancio. Il sintomo più importante di questo abbandono è, da una parte, la precarietà in cui versano gli Enti parco (fondi ridotti, commissariamenti, ritardi nelle nomine, etc..), e dall’altra, la mancanza di strategie e di politiche di sistema attuate in sinergia con le regioni. Unica eccezione alle mancanze registrate in questi anni, è stata la sottoscrizione della Convenzione degli Appennini, un fatto vissuto dal Ministero come un adempimento burocratico più che una scelta strategica, a confermare la miopia di chi ha gestito il sistema delle aree protette in questi anni». Ma i parchi non sono solo nazionali, quelli regionali come stanno? «In questa situazione, caratterizzata dalla caduta di capacità e di volontà di intervento dello Stato centrale, molte regioni in questi anni si sono barcamenate, autonomamente e spesso in maniera artistica, in iniziative di conservazione istituendo nuove aree protette, perfezionando la rete Natura 2000, individuando le Reti ecologiche a scala regionale, approvando leggi per la conservazione della biodiversità e indirizzando le risorse dei Fondi Strutturali o quelli dello Sviluppo Rurale, verso la conservazione la valorizzazione naturalistica. Il quadro delle azioni svolte dalle Regioni in ultimi anni, seppure caratterizzato da ombre ed insufficienze, ed al netto dei tagli ai finanziamenti che Tremonti ha imposto ed i cui effetti ancora non sono stati valutati attentamente se non in Sicilia, è senz’altro più positivo di quello Statale. Tutto questo a fronte di una crescente e negativa tendenza in atto da parte del Parlamento volta a ridurre gli spazi di autonomia delle regioni, contraddicendo così il principio di sussidiarietà oltre che le nuove competenze costituzionali delle regioni. Perciò per rilanciare le politiche per le aree protette si deve ripartire dalla riapertura di un proficuo dialogo con le autonomie locali e con le regioni. Si deve ripristinare, nel segno della sussidiarietà, il principio della leale collaborazione che sarebbe utilissima anche per procedere ad un aggiornamento della Legge quadro, quanto mai necessario». Secondo Legambiente cosa bisognerebbe fare per difendere la biodiversità italiana e rafforzare il ruolo dei Parchi? «Per rilanciare il sistema delle aree protette occorre promuovere una iniziativa che sia capace di parlare anche alla società, alle sue forze organizzate, ai principali portatori di interesse a cominciare dall’associazionismo ambientale, dalle organizzazioni professionali agricole, a quelle del turismo ecc… Bisogna coinvolgere le forze sociali e produttive in questa una nuova stagione di rilancio del sistema italiano delle aree protette, per valorizzare questi territori in cui si pratica la gren economy e lo sviluppo sostenibile. Occorre in sostanza ridare il giusto risalto a quanto fatto in questi anni dalle aree protette, richiamando alla propria responsabilità lo Stato centrale e tracciare un quadro strategico di obiettivi verso cui orientare il lavoro di tutte le istituzioni per rilanciare le aree protette». Si, ma al di la delle enunciazioni, Legambiente ha delle proposte? Per raggiungere questi obiettivi le cose da fare ci paiono abbastanza chiare: 1. Promuovere la Terza Conferenza nazionale delle Aree protette da svolgere in un’ottica di respiro nazionale ed europeo. La Conferenza deve servire per togliere i parchi dalla zona d’ombra in cui versano; per superare la plateale assenza ministeriale nella costruzione di una rete effettiva di aree protette e per il rilancio delle politiche di sistema; deve essere un importante momento di discussione per fare il punto sulla Legge quadro. 2. Occorre affrontare il nodo delle aree marine protette che rappresentano un problema all’interno del più grosso problema dei parchi, per riportarne la gestione nell’alveo della Legge quadro e aggiornarne la governace. 3. Si devono risolvere le problematiche relative al reperimento di finanziamenti adeguati a garantire un flusso minimo vitale per gli enti gestori delle aree protette sia terrestri che marine. I parchi devono puntare anche all’autofinanziamento, inteso come integrativo alle dotazioni pubbliche che devono essere comunque garantite. Devono perciò attivarsi nella ricerca di finanziamenti alternativi e deve diventare un criterio la premialita’ per i parchi che meglio lavorano, tenendo però conto delle diversità territoriali in cui essi operano. 4. Per incentivare le donazioni dei privati a favore della tutela della biodiversità, si potrebbe creare una Fondazione per i parchi d’Italia che, d’intesa con il Ministero dell’economia, le regioni e le Fondazioni bancarie, fornisca le risorse economiche aggiuntive per dotare i parchi di un fondo di rotazione per realizzare i loro progetti. 5. Bisogna che regioni e Ministero investano risorse e competenze per completare l’iter previsto dalle direttive europee per la gestione di rete Natura 2000 attraverso la definitiva approvazione dei piani di gestione, il monitoraggio dei siti e l’ampliamento della rete. 6. Sviluppare una strategia per la Rete ecologica, da attuare coerentemente in tutte le regioni e attraverso il rilancio del ruolo delle aree protette nelle politiche di sistema, a partire dalla piena attuazione delle Convenzioni degli Appennini e delle Alpi. 7. Valorizzare le buone pratiche delle aree protette nella tutela del paesaggio, nella lotta ai cambiamenti climatici, alla desertificazione ed al dissesto idrogeologico. Tutte questioni che, se affrontate adeguatamente, garantirebbero al sistema dei parchi un notevole rilancio, e all’Italia un ruolo importante in campo internazionale per riprendere la guida nel bacino del Mediterraneo delle strategie di conservazione della natura. 8. Promuovere azioni concrete per la salvaguardia di specie a rischio e la crescita dei territori protetti. Ogni anno impegnarsi per raggiungere obiettivi misurabili come incrementare di una certa percentuale il territorio protetto (istituire un parco nazionale per il Matese) o salvare una specie a rischio (l’orso bruno marsicano). 9. Promuovere la redazione dei Piani d’azione delle specie a rischio (grifone, tartarughe marine, etc..) valorizzando le esperienze maturate dalla regioni, e destinare a queste strategie risorse finanziarie adeguate. 10. Nell’anno mondiale della biodiversità, che oramai volge al termine, oltre alla Strategia nazionale è necessario avere un fondo economico per dare gambe alle politiche di conservazione della natura. E soprattutto, mantenere l’integrità dell’attuale sistema di aree protette, la vicenda dello Stelvio apre scenari preoccupanti che devono far riflettere sul futuro delle aree protette. greenreport & elbareport (foto di Giulia Spinetti)
mantide insetto foto giulia spinetti