Chiederselo in questo momento potrebbe sembrare una freddura. I parchi nazionali sono infatti nell’occhio del ciclone e i finanziamenti salvati a fatica non li mettono certo al sicuro tanto meno per il prossimo futuro. Ma poco meglio stanno anche quelli regionali e le altre aree protette terrestri e marine. E come abbiamo detto già tante volte sono a rischio non soltanto per i tagli di bilancio. Tanto è vero che c’è chi li vorrebbe ancora sciogliere o abrogare non solo perché ‘costano’ come tutti i soggetti istituzionali, ma per far fare certe cose ad altri o in altro modo, sperando magari che ci siano anche–di questi tempi!- dei privati che se li accollino in tutto o in parte. Insomma come per i musei o i monumenti per i quali come abbiamo visto c’è la coda per portare grana. Quello che non si riesce però a fare emergere con sufficiente chiarezza tra tante polemiche ed anche preoccupazioni è cosa potrebbero e dovrebbero fare specie in una situazione in cui tutto si può dire tranne che le questioni ambientali siano quisquiglie e pinzillacchere. E vengo così alla situazione toscana dove della questione si discute ormai da tempo a partire dalla vecchia giunta regionale e successivamente con la nuova. Il caso toscano è di rilievo nazionale intanto perché qui i tre parchi regionali prima e i tre parchi nazionali non sono certo né tra gli ultimi arrivati e ancor meno tra quelli rimasti –come si dice- sulla carta. Ed è proprio per questo che c’è molta attesa per quello che si deciderà con il PIT, la vecchia legge del 2005 specie dopo il nuovo codice dei beni culturali che ha azzoppato proprio il piano dei parchi. Attesa quindi anche per il piano regionale di sviluppo presentato in questi giorni. Il documento di una quarantina di pagine guarda alla Toscana del 2011-2015 a partite dalla crisi attuale che ovviamente non risparmia la nostra regione sebbene in maniera meno drammatica di altre. L’insegna è quella di riuscire a innescare un processo duraturo e sostenibile di ripresa e sviluppo. Sviluppo sostenibile che faccia leva su specifici ambiti territoriali in cui ambiente, ricerca, turismo, agricoltura, paesaggio possano diventare progetti, programmi capaci dare lavoro e una prospettiva specialmente ai giovani in una visione e proiezione non solo regionale ma mediterranea. Le gambe istituzionali si cui far camminare questo piano sono con la regione e gli enti locali province e comuni la cui organizzazione deve essere per molti versi rivista come si è giù cominciato a fare non senza mugugni. E veniamo così al punto di partenza di questa riflessione, parlare in Toscana di turismo sostenibile, di paesaggio, di agricoltura e filiere corte, di corsi fluviali da mettere in sicurezza e non far parola dei parchi (tranne che per quello della piana ai èprimi vagiti) e neppure dei distretti idrografici, dei loro piani che nel caso dei parchi sono stati da tempo approvati dalla regione e talvolta da decenni, riesce difficile da capire. Quando si parla di piano regionale agricolo-forestale, di piano regionale di indirizzo territoriale con valore paesaggistico di cui si sta discutendo anche nelle tre Università toscane e non si fa parola del piano del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi o dell’appennino Tosco-Emiliano, o si parla di Turismo sostenibile e di coste e non si parla del parco dell’Arcipelago, della Maremma o di San Rossore vuol dire che avremo una gestione di settore regionale? E come si dovrebbe assicurare dal basso quella integrazione -termine che pure nel documento ricorre frequentemente- se ogni settore viaggerà per conto suo mentre nei piani dei parchi i settori sono stati integrati alla stessa stregua dei bacini. Mentre si parla ( molto poco) della nuova legge regionale sui parchi, si pensa forse di riproporre la vecchia solfa che alla programmazione ci pensano solo i livelli elettivi? Anche alle alluvioni? Anche a quelle dimensioni ambientali interregionali e internazionali che in quei confini amministrativi non ci stanno né punto né poco? Se è così fanno bene a Roma e non solo a sbaraccare i parchi e lasciare che le alluvioni facciano i danni che stanno facendo. Ma non mi pare che la Toscana possa convenirne. E quindi sarebbe bene che il piano territoriale di sviluppo ai nastri d partenza sia ‘integrato’ davvero senza omissis.
bandieraverde